Recensioni Film

Pieta – Recensione

Concorso – 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

Si grida al Leone d’oro per il diciottesimo film di Kim Ki-duk, un lavoro degno del più alto e sofisticato stile al quale il regista sudcoreano ci ha abituati. Chi scrive questo pezzo ha avuto la possibilità di vedere il film durante la proiezione per il pubblico il quale gli ha tributato scroscianti e prolungati applausi. Aspettiamo di sapere come la giuria internazionale della mostra, presieduta da Michael Mann, giudicherà questo lavoro complesso, spietato ma assolutamente affascinante, uscito in Corea lo scorso il 28 giugno ma vietato ai minori. Ingaggiato dagli usurai, un uomo ne riscuote i crediti, minacciando senza pietà i debitori. Privo di radici e famiglia, l’uomo non ha nulla da perdere, e conduce la propria esistenza compiendo pedissequamente il proprio “dovere” senza il benché minimo scrupolo per il dolore che provoca. Inaspettatamente un giorno si presenta alla sua porta una donna che dice di essere sua madre che lo ha abbandonato in tenera età. Dapprima l’uomo la respinge con violenza, ma a poco a poco il legame che si instaura fra di loro gli consente di ripensare alla propria vita e ad una possibilità di cambiamento non sapendo, in realtà, a quale verità sta per andare in contro.
La realtà con la quale Kim Ki-duk ci chiede di fare i conti è quella in cui le lusinghe del denaro mettono a dura prova la capacità di sopravvivenza, di se stessi e della propria famiglia. Come afferma il regista in conferenza stampa, il capitalismo della società moderna è arrivato a dei livelli di estremismo le cui conseguenze sono ineluttabili e terribili, ed è questa deriva della società umana che Kim Ki-duk ci sbatte violentemente in faccia, senza censura e con dovizia di particolari. Il dolore dei due protagonisti (interpretati in maniera sublime da Cho Min-soo e Lee Jung-jin), è universale e attuale, ma lo è anche il perdono, inseguito da entrambi come unica possibilità di salvezza. C’è speranza di redenzione ma non senza conseguenze, e la responsabilità delle proprie scelte è un fardello del quale non è facile liberarsi. Dal punto di vista registico le immagini sono crude e soffocanti ed arrivano alla pancia come dei pugnali roventi, lasciando nello spettatore un turbamento emotivo che si tramuta, nelle ore successive alla visione del film, in una perpetua riflessione.

Serena Guidoni
 

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