Pinocchio – Recensione
Un Pinocchio colorato, poetico, onirico, nuovissimo. La rilettura del genio dell’animazione italiana Enzo D’Alò è questo. Intensamente più vicino alla fiaba di Collodi rispetto alla famosa edizione Disney del 1940 che divenne una pietra miliare pur rielaborando molto la storia originale.
Eppure sono passati anni luce dall’uscita de “Le avventure di Pinocchio” di Collodi che venne pubblicato nel 1883. Il libro dei record, il terzo libro più letto al mondo dopo Bibbia e Corano.
Come si fa dunque a conciliare fedeltà a un imponente classico della letteratura dell’Ottocento con una regia piena di trovate personali e immaginifiche?
Se si risponde al nome di Enzo D’Alò il miracolo può avvenire. Il suo primo merito è di aver utilizzato i disegni folgoranti di Lorenzo Mattotti che qui ha riproposto le immagini utilizzate per un’edizione illustrata del libro: un segno grafico vivido e potente debitore di influssi della storia dell’arte soprattutto in alcuni panorami in campo lungo dei paesaggi toscani.
L’opera animata di D’Alò ha grandi numeri, a partire da una gestazione durata oltre dieci anni (alla fine degli anni Novanta il regista aveva iniziato a pensare al progetto ma a un certo punto si fermò per la parallela partenza del Pinocchio in carne e ossa di Benigni). E ora eccolo finalmente alla luce dopo quattro anni di lavorazione e la coproduzione di Italia, Francia, Lussemburgo e Belgio.
Scrivendo il copione insieme a Umberto Marino, D’Alò ha rivisto molte cose e recuperato molti personaggi abbandonati dai “tradimenti” disneyani come il Pescatore Verde (cui Lucio Dalla ha deciso di prestare la voce), il cane Alidoro, il pescecane (e non una balena come in Disney). E poi le riletture (la Fata Turchina non più vista come una figura materna ma come una bambina quasi coetanea di Pinocchio) e le fantasiose deviazioni: una su tutte, la coppia del Gatto e la Volpe con quella Volpe così alta rispetto al suo compare, così colorata, morbida, femminile e sensuale.
Ma soprattutto il merito più grande del regista è quello di aver restituito la chiave di lettura centrale del film nel rapporto tra padre e figlio ripensato anche a partire dalla sua personale esperienza. Rileggendo in modo nuovo il rapporto tra un padre che crea “manualmente” un figlio, evidente metafora di una “costruzione” che tentano di fare molti padri sui propri figli che desiderano plasmare ai propri desideri, D’Alò getta un nuovo seme. Quello che accade qui è un duplice viaggio di formazione, per Pinocchio e per Geppetto, che porta entrambi ad accettarsi nella consapevolezza che l’altro non è come lo si vorrebbe (un messaggio anche per i genitori di oggi?). Il colpo di genio è il flashback iniziale con un Geppetto bambino creativo, sognatore, pieno di aspettative. Insegue un aquilone, simbolo del volo e della fantasia, il suo stesso obiettivo è il percorso, la fantasia interiore che scatena il processo di creazione. E’ proprio il suo punto di vista di bambino perduto a immaginarsi tutta la storia. Geppetto in fondo non ha mai dimenticato di essere stato un bambino!
Vero gioiello che impreziosisce il film sono le musiche di Lucio Dalla, alla sua ultima fatica prima della scomparsa. Un miscuglio di generi e sonorità diverse con influssi che vanno dalle musiche di Nino Rota a Rossini, fino al charleston, al rock e al rap: come non rimanere incantati dalla canzone del Pescatore Verde, dal “rap della febbre” o dalla canzone piena di ritmo che descrive il Paese dei Balocchi ripensato qui in chiave psichedelica?
Le voci scelte per il doppiaggio fanno da coronamento a una delizia per gli occhi e le orecchie: Rocco Papaleo per Mangiafoco, Paolo Ruffini per un “ganzo” Lucignolo, Maurizio Micheli per un Gatto pasticcione e sgrammaticato, Mino Caprio e suo figlio Gabriele per Geppetto e Pinocchio (ecco tornare il fil rouge del legame padre-figlio).
Un piccolo capolavoro di un maestro tutto italiano per una volta (anche se con l’aiuto di una coproduzione straniera). Poesia, sogno, fantasia, sposati ai nuovi mezzi digitali (è stata utilizzata una tecnica di animazione esclusivamente digitale con l’ausilio di un software usato per la prima volta in Europa). Magari ce ne fossero di più di “artigiani” così.
Elena Bartoni