Poker Generation – Recensione
Il poker come metafora della vita. Il poker? Lo avevate già sentito per il calcio e in generale per qualsiasi sport possibile ed immaginabile, così come per il viaggio, per la montagna, addirittura per i naufragi e dio solo sa per cos’altro. Se non ne siete convinti o semplicemente non c’avevate mai pensato ci prova Fabrizio Crimi, che da magnate si trasforma in mecenate e produce, insieme a Tiziano Cavaliere, Poker Generation.
Opera prima di Gianluca Mingotto, il film è la storia di due fratelli, l’uno l’opposto dell’altro. Il più grande, Tony (Andrea Montovoli), spavaldo e sbruffone, ama le donne e i film sulla mala americana, l’altro, Filo (Piero Cardano) apparentemente fragile ed introverso è affetto da una leggera forma di autismo che lo porta ad esaminare tutto ciò che lo circonda in modo meccanico e a volte ossessivo, ma che ne fa in fin dei conti, a suo modo, un piccolo genio.
Ad unirli la passione per il poker tramandatagli dal padre squattrinato ed ubriacone (Francesco Pannofino), e una famiglia povera ed incapace di pagare le spese mediche per curare la sorellina Maria. Saranno proprio le carte, nella variante di derivazione americana del Texas Holdem, a presentarsi come unica ancora di salvezza e a convincere i due fratelli a spostarsi dalla calda e povera Sicilia fino alla fredda e viziosa Milano.
Se sentite puzza di clichè e già pensate al lieto fine non è ancora tutto, ad aspettarli in quel ricettacolo di peccati che è la capitale del Nord, una ragazza madre (Francesca Fioretti), di giorno barista e di notte spogliarellista, per soldi si intende, di cui uno ovviamente s’innamorerà perdutamente.
Caratterizzato da una sceneggiatura a dir poco leggerina il film è un lungo spot sul poker in cui committente e regista lasciano entrambi le proprie tracce in modo in fondo troppo smaccato. Crimi, presidente della Betpro, settimo marchio in Italia per quanto riguarda il poker o line, vuole convincervi a tutti costi che il Texas Holdem è uno sport in cui servono studio e allenamento, che sia poi legale, grazie alle nuove normative introdotte dai Monopoli di Stato e che sia soprattutto democratico, con un euro potete sbancare il Betpro Malta Poker Dream. L’evento così come la testimonial (Francesca Fioretti) e il regista appartengono tutti alla scuderia dell’imprenditore messinese. Forse troppo.
Già autore di tre documentari sul poker, di cui due sull’evento di Malta e di alcuni spot, tra cui proprio quello per Betpro, Mingotto esibisce una regia che ha il pregio di portare un po’ d’aria fresca nel panorama italiano ma che tradisce forse troppo il passato da regista di videoclip musicali e che in fondo viene mortificata da una storia prevedibile, una recitazione non sempre all’altezza e dialoghi, voce fuori campo compresa, spesso ridicoli.
Ispirato ad una storia vera, quella di Filippo Candio, poker player italiano che dalla Sardegna si è trasferito a Milano per inseguire la passione per il poker, il film porta in sala una coppia che ricorda quella già vista in Rain Man e che il paragone sia davvero troppo lo si capisce forse citando quella che senza dubbio non rimarrà come la frase più celebre dei due film ma che serve in fondo per spiegare la differenza di stile tra personaggi e pellicole; dopo una vittoria al tavolo da gioco, Charlie (Tom Cruise) sollevato dice al fratello Raymond (Dustin Hoffman): “Sono fuori dai guai, andrò a fare una pipì celebrativa”, un concetto di tale elevatezza legato ad uno stimolo così opprimente è manifestato anche da Tony che però preferisce esprimerlo con la seguente metafora: “Vado a cambiare acqua alle olive”. Che siano dunque le olive la reale metafora della vita?
Daniele Finocchi