Poltergeist – Recensione
Sono trascorsi ben trentatré anni dall’uscita in sala dell’omonimo film di Tobe Hooper, erano stati realizzati due sequel ed una serie tv, ma tanto non è bastato a Sam Raimi e Rob Tapert della Ghost House Pictures, tant’è che hanno deciso di affidare al regista Gil Kenan (Ember – Il mistero della città di luce), il remake del primo film. Il risultato? Si rimane perplessi e ci si domanda se veramente fosse il caso di riproporre l’ennesimo horror con nulla di nuovo sul piatto.
Il Poltergeist edizione 2015, ripropone le terrificanti apparizioni del capitolo originario. Questa volta però, gli attacchi si moltiplicano e le presenze prendono prigioniera la figlia più piccola della famiglia Bowen, che deve unirsi per salvare la piccola, prima che scompaia per sempre.
Dopo Nightmare, Venerdì 13, Halloween, La Casa, The Omen, The Amityville Horror, Carrie, Le colline hanno gli Occhi e Non aprite quella Porta, all’appello dei film remake, mancava Poltergeist, ed ecco accontentato il pubblico (se non questo, almeno i produttori).
Ritraendo la classica famigliola, ostaggio di forze soprannaturali nella propria casa, simile alle nostre, luogo in cui ci si dovrebbe sentire più al sicuro, Kenan e lo scenggiatore David Lindsay-Abaire, hanno provato ad imbastire la propria storia, puntando tutto su questo.
Il vero orrore della pellicola però, sta proprio in ciò. Poltergeist si muove sui tipici schemi del genere, tra stereotipi ed un imbarazzo di fondo, perché nonostante venga introdotta l’idea della famiglia frantumata e fragile e che la vita quotidiana renda tutti più vulnerabili, il messaggio del 1982, era ben più efficace: si polemizzava la televisione dei primi anni ’80, vista come un pericoloso mostro in grado di attrarre a sé le anime perdute degli spettatori.
Cosa c’è di nuovo allora? In questa riproposizione, di positivo c’è ben poco se non l’aver sostituito la tv a gli iPad, iPhone ed altre tecnologie attuali; Lindsay-Abaire però, non hanno fatto altro che prendere il copione originale e mescolarlo con questi ed altri nuovi elementi, di per sé superflui. Nemmeno l’idea di girare il film in 3D, tecnica usata per accrescere i momenti di terrore e suspense, ahinoi, ha dato però i risultati sperati.
Per un regista che ha all’attivo solamente film d’animazione, non si poteva sperare nel miracolo. Certo è che in moltissime scene si raggiunge anche l’apice della demenzialità ed è lì che si sfalda anche quel briciolo di horror possibile.
A nulla serve nemmeno la presenza di uno come Jared Harris (il medium scaccia presenza di turno come in Insidious), che finisce per essere quasi più surreale dei fantasmi a cui dà la caccia e non salva la pellicola neppure il carismatico e sopra le righe, Sam Rockwell, che pare in imbarazzo in quel contesto.
Con questa disastrosa rivisitazione del cult anni ’80 è quindi più che normale fare i paragoni con esso, ma soprattutto è impossibile non capire che a mancare essenzialmente nel film, è l’originalità; sarebbe quindi utile interrogarsi sul perché ci sia ancora bisogno di continuare a realizzare remake, soprattutto di questo genere.
Alice Bianco