Quello che so sull’amore – Recensione
Terzo capitolo di quella che potremmo definire “L’avventura Hollywoodiana” di Gabriele Muccino. Dopo La ricerca della felicità e Sette Anime (film nei quali la presenza di Will Smith è stata prodigiosa da ogni punto di vista!), il regista romano trapiantato a Los Angeles decide di giocare una carta assai coraggiosa dal punto di vista produttivo. Invece di affidarsi ad una grande major americana come la Columbia Pictures (per intenderci, colei che ha finanziato i due film precedenti), Muccino realizza un progetto di cinema indipendente. Quello che so sull’amore ne è il risultato, ma forse non esattamente quello che si aspettava il suo regista.
Nelle logiche produttive americane c’è la costante necessità di collocare i propri prodotti entro dettami precisi, che siano di genere o target di riferimento, in modo tale da non contravvenire a quelle regole di marketing che, si suppone, decreteranno il successo del film. Questi quanto mai “blasfemi” sistemi economici, sconfinano dai loro argini quando pretendono di porre dei veti di tipo artistico. Il film, secondo l’idea originale, doveva essere in bilico fra la commedia e il dramma, ma le scelte dei distributori hanno reciso questa caratteristica per far virare l’intero film verso la commedia romantica che, in termini monetari, avrebbe portato a dei maggiori guadagni. Scelte sbagliate ed incaute (negli Stati Uniti il film è stato quello che notoriamente possiamo definire flop)? Forse si; ma anche cambiando l’ordine degli addendi, il risultato sarebbe cambiato? Cast stellare, pro, sceneggiatura debole e dimessa, contro.
Gerard Butler è George, un ex calciatore irlandese che ha dovuto appendere le scarpette al chiodo a causa di un infortunio. Stacie (Jessica Biel) è la sua ex compagna, in procinto di risposarsi, che ha dovuto crescere il loro figlio Lewis da sola. La redenzione di un padre mancato e la riscoperta dei valori fondanti, avviene attraverso quello stesso sport del quale George è rimasto vittima. Da calciatore ad allenatore della squadra nella quale gioca il figlio, questa esperienza gli consentirà di assumersi finalmente le proprie responsabilità di padre, passando, paradossalmente, attraverso le continue avances delle madri annoiate degli altri allievi, fra le quali spiccano Uma Thurman, (moglie incatenata di Dennis Quaid), Catherine Zeta-Jones e Judy Greer.
Dando per scontato che la trama è fin troppo sdoganata e priva della benché minima intuizione (si potrebbe, volendo, fare appello al fatto che si è già detto tutto?), il film, in qualunque genere lo si voglia catalogare (comedy-drama, tragicomedy, romantic comedy) non ha mai lo slancio necessario per convincerci che sia qualcosa di diverso da quello che abbiamo già visto. Non c’è trasporto empatico per la vicenda e le sequenze che vorrebbero essere esilaranti, screwball comedy permettendo, si accartocciano su loro stesse, dando sempre l’impressione che non si è trovato il guizzo giusto per andare avanti.
Serena Guidoni