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Quiz Show – Recensione

È il 1957 quando Charles Van Doren viene scelto per partecipare al famosissimo gioco a premi della televisione americana Twenty One. Inizialmente il figlio del poeta e critico letterario Mark Van Doren, non è interessato a partecipare a quella trasmissione ma si presenta ai produttori Dan Enright e Albert Freedman per un altro gioco a quiz. I due notando lo stile garbato, la cultura eterogenea e l’aspetto fotogenico del giovane professore della Columbia University, vedono in lui la chiave per far risollevare gli indici d’ascolto del programma ultimamente in calo vista la costante presenza di Herb Stempel, ormai campione indiscusso del gioco da diverso tempo.
Charles viene convinto dai produttori a partecipare al gioco a premi, batte Stempel e comincia a vincere, una puntata dopo l’altra. Dopo qualche settimana è diventato un eroe nazionale, la gente lo ammira ed è così famoso da apparire sulla copertina di Time.
Ma un ispettore del Congresso viene insospettito da questa serie di vittorie e inizia ad indagare su Charlie, trovando conferme nelle dichiarazioni di alcuni ex-concorrenti, tra cui Herb Stempel, alle sue ipotesi circa una truffa organizzata dai realizzatori del Twenty One show.

Robert Redford parte da questi fatti reali, che costituirono un vero e proprio scandalo nel mondo televisivo degli anni ’50, per girare nel 1994 il suo film Quiz Show, concentrandosi su due elementi nel particolare.

Il primo è non lasciare spazio al dubbio fin dall’inizio: Twenty One  è uno show truccato. Vediamo da subito i produttori dare a  Herb Stempel le risposte in anticipo fin quando essi credono che debba vincere e saranno sempre  Enright e Freedman a decidere quando Sempel dovrà perdere per lasciare spazio al nuovo arrivato Charles Van Doren, obbligandolo a rispondere in modo inesatto ad una domanda sul cinema. E da subito, nonostante Charles cerchi di rifiutarsi, insistono perché anche lui conosca in anticipo domande e risposte di ogni puntata. Entrambi, sia Charles sia Herb, sono due uomini di cultura, ben preparati, che conoscono le risposte alla maggior parte delle domande che vengono loro poste, ma la televisione è business e i produttori non possono permettersi che il programma perda un personaggio di successo come Charles, che  porta Twenty One ai picchi massimi d’ascolto; né d’altra parte che una figura come quella di Herb, che ormai risulta monotona e priva di attrattiva per il pubblico, possa continuare a vincere.

Il secondo elemento su cui Redford gioca per rendere interessante la storia è lavorare molto sulla caratterizzazione dei due personaggi principali: Charlie e Herb. Il primo è interpretato dal giovane Ralph Fiennes che riesce ad essere accattivante quanto basta a catturare l’attenzione del pubblico che, nonostante sappia che sta vincendo barando, prova per lui un’inevitabile simpatia. Il bravissimo John Turturro è Herb, costruito come una persona decisamente ingenua, emotiva e “instabile”, che crolla non appena si vede sbattuto fuori dal programma di cui è stato il re per un po’. È subito pronto a denunciare l’ingiustizia che l’ha costretto a rispondere erroneamente ad una domanda di cui conosceva perfettamente la risposta, nonostante sia stato il primo a barare quando ciò andava a suo vantaggio. Il pubblico non è dalla sua parte, ma non può fare a meno di provare comprensione per questo piccolo uomo frustrato dalla malvagità della legge dello spettacolo, che Andy Warhol seppe descrivere benissimo con la sua teoria sui “15 minuti di celebrità” a cui tutti saremmo stati destinati nell’era della televisione.
Ma in comune Charles e Herb hanno l’attrazione per questo mondo scintillante e magico che sembra essere la televisione, un mezzo che propone loro la soluzione a tutti i problemi e le insoddisfazioni.  Sono entrambi uomini di sani principi e valori, ma quando viene offerta loro la possibilità di barare per vincere l’accetteranno: Herb, sempre preso in giro e quasi emarginato, ha la possibilità di riscattare sé stesso e la sua famiglia attraverso l’indipendenza data dal denaro e l’ammirazione che li rende ben voluti da tutti; Charles ha la possibilità di riscattare la figura del professore universitario, che non riceve la considerazione che dovrebbe da parte dei suoi studenti e della società, nonostante sia una persona tanto colta ed intelligente. Ci viene detto che il lavoro duro e il sacrificio vengono ripagati, ma non è così, non sempre almeno. Perché rifiutare quel premio, quel riconoscimento tanto sudato quando ci si presenta davanti? E se per averlo bisogna obbedire alle sleali regole del mercato televisivo, siamo forse dei criminali?

Robert Redford con una regia asciutta, ma efficace porta in scena il grande scandalo di un esimio professore universitario che accantona i suoi principi per denaro e che ci spinge a riflettere sull’artificiosità della realtà televisiva. Quanto affidabile è questo potente mezzo di comunicazione? E quanto il rapporto con esso può cambiarci? Redford non scusa Charles e Herb, ben consapevoli e principali attori della truffa, ma Quiz Show vuole in primis denunciare il sistema più grande in cui essi furono solo insignificanti pedine.
Quiz Show non è un film che lavora sulla suspense e non vi terrà col fiato sospeso in attesa del finale, ma propone temi importanti su cui riflettere e che al giorno d’oggi non possono essere ignorati.

Corinna Spirito

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