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Recensione di: Almanya – La mia famiglia va in Germania

Le sorelle Yasemin e Nesrin Samdereli, l’una in veste di regista e l’altra in quella di sceneggiatrice, portano sul grande schermo una storia di migrazione, di una famiglia turca, nella economicamente prolifica Germania, che nel dopoguerra fece un’importante campagna di inserimento di lavoratori provenienti da diverse parti d’Europa, e in particolar modo dalla Turchia. Presentata Fuori Concorso al Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2011, la pellicola gioca in maniera delicata, ma non priva di ironia, sulle difficoltà culturali e linguistiche che da sempre il popolo degli immigrati deve affrontare per integrarsi nel paese che li “ospita”. La narrazione è piacevole e scorrevole, con dei guizzi farseschi che, contrariamente a quanto si possa pensare, non mettono in ridicolo ma bensì circondano i personaggi di un’aura di veridicità. Attraverso un racconto che utilizza più livelli temporali, veniamo mano a mano a conoscenza della storia di questa famiglia: dal patriarca che per primo approda in Germania, ai figli che vivono la propria cultura come un limite nella società in cui risiedono (esilarante è la sequenza nella quale esigono venga celebrato il Natale!), ai nipoti più piccoli che, sebbene rappresentino l’anello più integrato della catena, sono ancora alle prese con incomprensioni di tipo “geografico”. Una voce fuori campo, quella della nipote Canan, è l’elemento legante di tutte le storie che, attraverso una visione quasi fiabesca che la ragazza ha della sua famiglia, eleva i contenuti a dei piani superiori, dove poesia e verità convivono in un unico nucleo narrativo. Le Samdereli hanno dichiarato che gran parte delle scene presenti nel loro film sono state attinte da un universo di ricordi legati alla loro infanzia, e questa conoscenza in prima persona di cosa voglia dire essere degli immigrati, viene resa in maniera intelligente, esuberante e mai scontata, lasciando intravedere persino delle tonalità malinconiche.

Serena Guidoni

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