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Recensione di: Amore e altri rimedi

Il regista statunitense Edward Zwick, dopo le ultime tre pellicole, da lui dirette, che affrontano pagine della Storia più o meno recente, nell’ordine “L’ultimo samurai” (2003), “Blood Diamond – Diamanti di sangue” (2006) e “Defiance – I giorni del coraggio” (2008), decide di eseguire una virata verso la commedia schietta e dal ritmo sostenuto, ma che, naturalmente, non dimentica di tramutarsi in drammone melense nel quale la malattia di uno dei protagonista gioca il ruolo determinante del motore che procede a “singhiozzi”, che in questo caso significa pianti a dirotto. Il fatto di proseguire su un binario (la commedia) per poi deviare senza soluzione di continuità su un altro (il dramma), è un metodo adoperato da molti cineasti per fuorviare lo spettatore che andando a vedere “Amore e altri rimedi” pensa di trovarsi di fronte a un film in pieno stile san Valentino, dedicato alle coppie incancrenite dal romanticismo. Se “Love Story” (film del 1970 diretto da Arthur Hiller ed interpretato da Ali MacGraw e Ryan O’Neal) tra i più drammatici e stucchevoli della storia del cinema, aveva la scusante di essere onesto sin dall’inizio nel suo intento lacrimevole, “Amore e altri rimedi” tenta inutilmente di mantenere i toni leggeri ma non ci riesce sino in fondo. Il film è un adattamento cinematografico del bestseller semi- autobiografico di Jamie Reidy pubblicato nel 2005, dal titolo “Hard Sell: The Evolution of a Viagra Salesman”. Racconto dell’esperienza dell’autore come venditore per il colosso dell’industria farmaceutica Pfizer, la pubblicazione del libro determinò il suo licenziamento dall’azienda in cui lavorava. A dare volto e corpo ,soprattutto, (viste le ripetute scene di nudo!) a questa storia, sono due giovani divi hollywoodiani che pagano lo scotto di essere tanto belli ma raramente (almeno in questo film) altrettanto bravi. Se Anne Hathaway riesce a gestire i toni della commedia in maniera apprezzabile non si può dire lo stesso di Jake Gyllenhaal, che restituisce una prova d’attore poco convincente, ma ad onor del vero Gyllenhaal predomina sulla collega nelle parti più drammatiche.

Serena Guidoni

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