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Recensione di: Cloverfield

Siamo nel bel mezzo di una normale festa fra ragazzi, ripresa dalla steadycam di uno degli invitati, quando all’ improvviso un boato proveniente dall’ esterno attira l’ attenzione di tutti. Qualcosa di ostile è giunto sullo Terra e tutto quel che seguirà ci sarà  mostrato attraverso l’ occhio della telecamera. Cominciamo col dire che il prodotto non può essere liquidato come esercizio di stile fine a se stesso, ne essere definito, come è stato fatto, un semplice “catastrofico ripreso col telefonino”. Qui il servirsi della videocamera come strumento narrativo riesce piuttosto a centrare quell’ obiettivo che i film girati interamenente in soggettiva di solito falliscono: l’ identificazione dello spettatore con il protagonista, o per meglio dire in questo caso i protagonisti. Il punto di vista in prima persona ci introduce in una dimensione emotiva inedita per i normali “disaster movies” e consente di evitare qualsiasi forma di lungaggine o caduta di ritmo, mostrandoci l’ essenziale dell’ esperienza drammatica a cui stiamo assistendo. Respiriamo davvero il terrore di una fine imminente per il genere umano, in un susseguirsi incalzante di tensione e colpi di scena, alternati a pochi momenti (studiati alla perfezione) in cui ci è concesso di “rifiatare”. Ottima la resa degli effetti speciali, usati in funzione della paura senza sprecare un centesimo dei dollari spesi, e la prestazione dei poco noti ma bravi attori coinvolti. E’ vero, lo svolgimento non mira a una totale plausibilità e non mancano le inverosimiglianze (vedi la ormai famosa batteria della videocamera che pare inesauribile) ma quando un film è capace di avvincere a tal punto da far soprassedere su questi “difetti” durante la visione, merita molti più elogi di un lavoro pignolo fino alla nausea ma soporifero nei risultati. In definitiva, un film per l’ appassionato del genere che voglia  “sentire” la catastrofe oltre che guardarla.

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