Recensione di: Conan the Barbarian
Sarà nelle sale italiane da giovedì 18 agosto il reboot di Conan il Barbaro, diretto da Marcus Nispel, già autore dei remake di Non aprite quella porta e Venerdì 13, ed interpretato da Jason Momoa, alla sua seconda prova come barbaro avendo già interpretato il feroce Khal Drogo nella serie tv di culto Game of Thrones. Dunque a quasi 30 anni dalla celebre trasposizione cinematografica che aveva come protagonista l’inossidabile Arnold Schwarzenegger, torna sugli schermi l’eroico barbaro nato dalla penna di Robert Ervin Howard e divenuto uno degli eroi più longevi dell’heroic fantasy. Vista l’indiscutibile natura violenta del personaggio, Nispel non poteva far altro che cominciare il racconto delle sue gesta con serrate sequenze di battaglia e cruenti spargimenti di sangue: Conan vede infatti la luce mentre la madre, combattendo, viene ferita a morte. Il piccolo Conan cresce sprezzante del pericolo e assetato del sangue dei suoi nemici. Sul suo cammino però, e su quello di suo padre (Ron Perlman), si impone il malvagio Khalar Singh (Stephen Lang), alla ricerca di una maschera magica in grado di riportare in vita la sua defunta moglie. Per completare l’incantesimo, Singh, grazie anche all’aiuto di sua figlia, Marique (Rose McGowan), una potente strega, deve trovare il sangue dell’ultima discendente purosangue di Acheron. Conan (Jason Momoa), che medita la sua vendetta da anni, si ritroverà a dover difendere la pura Tamara (Rachel Nichols), sacerdotessa nelle cui vene scorre il sangue miracoloso. Conan – The Barbarian è la rivisitazione di un classico che procede lungo la strada della citazione-allusione ma nondimeno inventa nuovi personaggi, eventi e relazioni declinandoli nell’epoca storica e nel luogo geografico dei racconti originari. Lo stesso personaggio di Conan appare rivisitato e in una veste sicuramente più moderna, inoltre l’interpretazione di Momoa gli conferisce senza dubbio un aspetto più tenebroso ed ancor più violento e sanguinario, nonché in numerosi duelli una grazia ed un’eleganza nelle movenze pari ad un Samurai. Rispetto poi alla versione cinematografica del 1982 il film di Nispel, recuperando i fasti e le convenzioni del genere epico-mitologico, fa dell’elemento fantasy un suo punto di forza: incantesimi e creature magiche diventano parte predominante della storia e le enormi possibilità della computer grafica potenziano al massimo la spettacolarità della pellicola. Ci troviamo dunque di fronte ad un buon film di genere che, miscelando azione e divertimento in un susseguirsi incalzante di teste mozzate e spargimenti di sangue, non ci farà sicuramente rimpiangere le gesta del nerboruto e possente Schwarzy.
Sara D’Agostino