Recensione di Cube – Il Cubo
All’improvviso, senza ragione apparente, un gruppo eterogeneo di persone si risveglia all’interno di un enorme cubo, un meccanismo-prigione composto da innumerevoli stanze semoventi in ciascuna delle quali può celarsi una trappola mortale. La convivenza sarà dura quanto la lotta per la sopravvivenza. Diretto dal canadese Vincenzo Natali con un budget di appena 365.000 dollari , ecco un film dove la fantascienza e la paura sono mescolate in un mix magistrale, uno dei risultati più interessanti di tutto il cinema, non solo fantastico, del XX° secolo. Attraverso trovate apparentemente semplici ma di ingegnosa efficacia ed effetti speciali mai invasivi, il regista crea una tensione quasi continua giocata sul terrore (nonché il fascino) dell’ignoto e su un’atmosfera angosciosa in cui al senso di claustrofobia si somma la consapevolezza che il tempo a disposizione non sia illimitato. Il rapporto fra i personaggi si deteriora, lo spirito di collaborazione si incrina per far posto all’egoismo (se non al lato oscuro) di alcuni e si ha la sensazione che nessuno alla fine potrebbe uscirne vivo. Notare inoltre come le poche informazioni che i protagonisti riusciranno ad ottenere riguardo la vera natura del cubo, siano sapientemente ambigue e lascino al pubblico immaginare chi o cosa si celi dietro quella situazione assurda (Alieni? Governo degli USA?). Il finale, che qui ovviamente non sveleremo, ha un chiaro senso morale e su quello si ferma, scegliendo (giustamente) di non rispondere a nessuno dei quesiti lasciati in sospeso. I buoni incassi hanno comunque consentito di continuare la saga, che proseguirà con Hypercube (2002) e Cube Zero (2004).