Recensione di: Dylan Dog – Il Film
Si spengono le luci e ci si ritrova catapultati nel mondo di Dylan Dog (interpretato da Brandon Routh): un mondo al confine tra reale e surreale, un mondo senza tempo, senza storia e, soprattutto, senza regole.
Anche per gli appassionati del fumetto è un mondo nuovo, conseguenza inevitabile della trasposizione sul grande schermo di un cult da 800 mila copie mensili. Dietro ad una trama semplice ma coinvolgente, comunque, i temi cari al Dylan Dog originale di Tiziano Sclavi emergono nitidamente: la classica lotta tra buoni e cattivi viene scavalcata dalla confusione tra ciò che può sembrare ma non è buono o cattivo nella vita di tutti i giorni.
Senza scomodare letture psicanalitiche, il film di Kevin Munroe (sceneggiato da Thomas Dean Donnelly e Joshua Oppenheimer) cela dietro a una trama per teenager tematiche di riflessione importanti, come l’inevitabilità del male ed il suo facile contagio, la scoperta nel quotidiano dei molteplici modi d’essere delle persone, per finire con la continua lotta contro dei mostri rappresentati come surreali, ma intuitivamente leggibili come metafora di nemici interni ad ognuno di noi che vengono a cercarci quando meno ce l’aspettiamo.
Il film scorre leggermente, sorretto da una buona fotografia e recitato in maniera appropriata, e regala qualche risata, soprattutto grazie al socio di Dylan Dog, Marcus (Sam Huntington), che cerca con discreti risultati di non far rimpiangere il Groucho della versione italiana.
Immancabile la firma americana, sotto forma di botte da orbi ed una storia d’amore che snatura il personaggio del fumetto.
Da intenditori l’uso della simbologia pagana delle Rune in una scenza clou. Ma perchè?
Carlo Garofalo