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Recensione di: E’ nata una star?

Nick Hornby è uno degli autori contemporanei più trasporti sul grande schermo; celebri gli adattamenti dei grandi successi come About a boy, An Education e Febbre a 90°, dei quali ha firmato anche la sceneggiatura. La scrittura di Hornby, profondamente radicata nella cultura britannica, il cui humor tagliante e vivace è un aspetto fondamentale e preponderante, viene per la prima volta cucito sul suolo italiano, trovando nella periferia torinese un buon punto d’appoggio. Lucio Pellegrini, regista navigato nella commedia italiana sceneggia (insieme a Massimo Gaudioso e Michele Pellegrini) e dirige E’ nata una star?, mantenendo intatta  la struttura di base del romanzo ma privando il racconto della sua essenza di conflitti e situazioni complicate. Marco è un giovane ragazzo in cerca della sua strada. Non eccessivamente spronato dai genitori Lucia e Fausto, fin troppo permissivi nel “lasciarlo fare”, ben presto scoprirà di avere un “talento” naturale, del quale nessuno è a conoscenza: le smisurate proporzioni della sua sessualità gli faranno credere di avere un futuro nel porno. Luciana Littizzetto e Rocco Papaleo interpretano questa strana coppia alle prese con un problema più grande di loro, reagendo a questa iniziativa del figlio con prevedibile diversità: il padre sconcertato cerca di obliare tale pensiero dalla mente; la madre, seppur con le dovute perplessità, cerca di trovare una maniera accomodante per vedere la faccenda. Se da un lato si tende a condannare il fatto (senza fortunatamente moralismi simil bigotti!), dall’altro nel film è espressa a chiare lettere la volontà di non considerare la scelta di Marco, così deprecabile: in fondo è sempre meglio della droga, dell’alcool e della violenza. Luciana Littizzetto è qui in veste anche di procacciatrice di soggetti, suo infatti l’acquisto dei diritti del romanzo di Hornby e la proposta di farlo dirigere a Pellegrini. L’attrice torinese, nota per la sua divertentissima spudoratezza, qui lascia spazio ad un personaggio forse un po’ malinconico, privandosi della sua naturale verve comica che, dato l’argomento, avrebbe indubbiamente prevalso. Papaleo dal canto suo ci diletta con il suo umorismo tagliente e scanzonato, sempre sul filo del grottesco ma nell’accezione positiva del termine. Chi non esce indenne alla fine del film è proprio il regista, avvezzo ad una commedia più popolare, e che purtroppo non ha saputo cogliere le sottili sfumature sociali ed antropologiche insite nella letteratura inglese e in quella di Hornby in particolare.

Serena Guidoni
 

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