Recensione di First Man – Venezia 75
First Man conclude quella che idealmente, prendendo in prestito le parole di un collega, possiamo chiamare la trilogia del successo per il quale Damien Chazelle utilizza tre diversi strumenti, oltre che generi.
Sudore delle mani di Whiplash, Costanza di Seb nel raggiungere il suo sogno in La La Land e Cervello di Neil Armstrong per superare ogni cosa e arrivare liL8; dove nessun uomo era mai arrivato.
Eppure in questo First Man c’eL8; un Chazelle diverso, capace di unire la soliditaL8; propria di un biopic (in questo la produzione di Steven Spielberg si vede molto), al suo estro che unendosi ancora una volta con quello delle musiche di Justin Hurwitz, riesce a far danzare i movimenti della navicella nell’aggancio spaziale come due amanti agganciano le mani per ballare dopo essersi corteggiati da lontano.
First Man peroL8; non eL8; solo il racconto del primo allunaggio, ma eL8; soprattutto il racconto di uomo, di una famiglia. Ancora una volta, quindi, il regista premio Oscar mette al centro della sua opera l’essere umano che spinge se stesso oltre i limiti per raggiungere un obiettivo.
Il suo (e di Ryan Gosling) Armstrong eL8; un uomo verso il quale non riusciamo a provare piena simpatia, eL8; un uomo rotto dentro, ma che esternamente non lascia trasparire nessuna emozione (sono solo due i momenti in cui si lascia andare al pianto e alla sua piuL8; fragile umanitaL8;). Il suo essere granitico fa da parallelo alla superficie lunare che diventa, ben presto ossessione ed eL8; proprio in questo punto che, probabilmente, si cela il punto debole di un film che, come detto in precedenza, risulta un’opera complessivamente solida. Infatti se Chazelle avesse osato di piuL8;, avesse guardato forse piuL8; a un Aronofsky che al classicismo spielberghiano avremmo assistito al compimento ultimo dell’enfant prodige.
Invece First Man pur evitando di essere troppo asettico, emozioni ce ne sono cosiL8; come le scene potenti, veste questa patina di classicitaL8; in grado siL8; di piacere a tutti da una parte, ma che dall’altra un po’ delude conoscendo le capacitaL8; pindariche del regista canadese.
Per Chazelle, cosiL8; come lo sceneggiatore Josh Singer, diventa peroL8; fondamentale non cadere nel patriottismo tipico di un certo cinema americano ed in questo si fanno maestri. Quello che a loro interessa eL8; l’animo umano, eL8; lo scavare su cosa eL8; disposto a rischiare e perdere l’uomo per arrivare sulla luna che in questo caso eL8; vista anche come metafora piuL8; universale.
Forse stavolta Chazelle non saraL8; riuscito ad arrivare sulla luna con il suo film, ma ancora una volta eL8; riuscito a farci vedere le stelle.
Sara Prian