Recensione di Grindhouse – Planet Terror
Dopo il non del tutto convincente “Death Proof” diretto da Tarantino, ecco il secondo capitolo del progetto GrindHouse, stavolta diretto dall’amico e collega Rodriguez. In breve vediamo un gruppo di sopravvissuti in lotta per la sopravvivenza dopo che un’ arma biologica ha mutato in morti viventi centinaia di persone. Una delle definizioni possibili del termine “trash”, anche al cinema, è l’imitazione fallita di un modello alto. In campo orrorifico l’ horror è una fucina di questi esempi da molti decenni ma non è necessario andare molto indietro, basti pensare al “memorabile” “Il bosco 1” del nostro Andrea Marfori. Quel che ha di magistrale Planet Terror è il suo essere in un certo senso la perfetta imitazione di quel fallimento. Rodriguez non si limita a riprodurre con affettuosa precisione lo stile registico, la recitazione, la rozza brutalità, la fotografia sporca, persino le imperfezioni e le “bruciature sulla pellicola” tipiche dei film “exploitation” di serie C e Z degli anni ’70, ma riesce a ricostruirne in modo credibile anche gli aspetti risibili e le ingenuità. Planet Terror non è serio ma neanche una vera parodia, è spesso la riproduzione voluta e cercata di quelle che in un normale horror definiremmo sequenze “involontariamente comiche”. Il suo rendere omaggio a quel mondo e a quel fare cinema diventa così totale, lo comprende in ogni singolo aspetto, divertendosi nell’esporne difetti ma senza mai ridicolizzarlo. Contribuiscono al risultato i dialoghi a tratti deliranti, trovate gustose (geniale la finta “bobina andata perduta” che costringe a immaginare cosa sia accaduto nel frattempo), citazioni cinefile sparse (tra cui ovviamente quelle ai film di Romero) e la funzionale direzione degli attori fra cui segnaliamo un Bruce Willis grottesco e sopra le righe.