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Recensione di: Henry

Una commedia-noir che racconta le periferia dell’anima nel centro di Roma, seguendo le piste dello spaccio di eroina e il fluire del fiume Tevere, che si porta via i sogni di una giovinezza senza speranza, lasciando le scorie di un presente senza futuro.
Noir nella trama, commedia nei dialoghi, Henry si presenta come un mix ben riuscito di soluzioni narrative che tiene lo spettatore incollato allo schermo, seppur in un clima di piacevole leggerezza.
La storia inizia con un duplice delitto di dostoevskijana memoria, a cui segue il castigo di un’intera generazione di sbandati. Più o meno giovani, poliziotti e fuorilegge, italiani e non, rimangono coinvolti in vortice di azione all’insegna della quotidiana meschinità che popola le strade di Roma.
Toccando i tasti della critica sociale su diversi temi di attualità, Alessandro Piva si presenta ancora una volta(dopo La Capa Gira)con un’opera di genere che senza falsa modestia ne’ esagerate pretese cerca di ritagliarsi lo spazio che merita nel grigio panorama cinematografico italiano.
Ci riesce a partire dagli attori, alcuni già famosi sul grande schermo, altri solo in televisione o a teatro, che danno vita a personaggi di sorprendente spessore, mai banali, non caricature ma ritratti fedeli delle realtà tragicomiche che raccontano.
Sugli scudi la bellissima Carolina Crescentini, affiancata dalle ottime interpretazioni di Paolo Sassanelli e Alfonso Santagata su tutti.
Il tema della tossicodipenza viene toccato senza scadere nelle facili trappole della caricatura strumentale, bensì utilizzato come strumento funzionale a raccontare il mondo interno di personaggi che vivono ai ritmi scanditi dall’eroina, ossia un insieme di presenti che inesorabilmente cadenzano un’esistenza che non lascia scampo al futuro, se non in un bagliore di lucidità e speranza, rappresentato dal pancione della moglie del commissario Silvestri (Claudio Gioé).
Alla fine ne escono male un po’ tutti i personaggi, non il film, che senza patriottismi di circostanza non ha niente da invidiare a produzioni ben più costose.

Carlo Garofalo

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