Recensione di: I Due Presidenti
Partiamo da chi il film lo “crea”: lo sceneggiatore. Peter Morgan (“The Last King of Scotland”, “Frost/Nixon”), è un autore raffinato e colto, e sigla quello che idealmente può essere considerato come l’ultimo capitolo di una trilogia sulla figura di Tony Blair. Come nei due precedenti lavori, il film per la tv “The Deal” e il pluripremiato “The Queen” (entrambi diretti da Stephen Frears), ad interpretare il Primo Ministro inglese è un abilissimo e sempre impeccabile Michael Sheen. Questi sono i presupposti essenziali per poter raccontare, con cognizione di causa e dovizia di particolari, quelli che sono gli aspetti più umani e privati di figure istituzionali di rilievo internazionale, e delle relazioni “speciali” che intercorrono fra di loro. Quello che si racconta ne “I due Presidenti” è il caso emblematico di due uomini, Bill Clinton e Tony Blair appunto, che sulla fine degli anni Novanta, per comunità d’intenti, nonché visioni politiche, riuscirono a tessere un rapporto che andava al di là della ragion di stato, coinvolgendoli fino all’interno delle mura domestiche. Quella che appare subito indiscutibilmente ovvia, è la totale devozione che il “novellino” Premier britannico dimostra nei confronti di un più “maturo” Presidente degli Stati Uniti. Quest’ultimo sentirà il dovere di prendere sotto braccio e accompagnare nell’impervio cammino destinato ad un politico, quello che ritiene essere il futuro dell’Europa Progressista del Centro Sinistra. Ma il peso dello scandalo Sexgate e della inizialmente fallimentare strategia bellica da utilizzare per l’intervento in Kosovo, renderanno il “piccolo” Primo Ministro più autorevole e carismatico del suo padre ideologico, consegnandogli un posto di prim’ordine nel panorama politico internazionale. Inevitabile avanzamento dell’allievo che supera il maestro o “una pugnalata alle spalle”? Il regista Richard Loncrain soccombe sotto il peso del paragone con un più maturo Stephen Frears, che seppe dosare meglio gli aspetti privati e pubblici di figure così importanti. Nonostante la scorrevolezza dei dialoghi, il film cede il passo ad un registro troppo “americano” del racconto, soprattutto quando, ad accentuare parole già gonfie di retorica, viene posta una colonna sonora che le enfatizza maggiormente. Quella che non va di certo trascurata, è l’attenzione che è stata data a due figure “casalinghe”, tutt’altro che ininfluenti nella gestione della vita politica. Il film nel film, se volessimo fare un esperimento, potrebbe intitolarsi “First Ladies”…
Serena Guidoni