Recensione di Il Banchiere Anarchico – Venezia 75
Ci vorrebbe una standing ovation di 10 minuti per Giulio Base come ouverture. Il suo coraggio nel proporre ad un pubblico sempre più interessato al cinema di svago, ai blockbuster fracassoni, una pellicola da camera come Il Banchiere Anarchico, in one location con soli due attori è qualcosa di straordinario e di quasi impensabile vedendo quello che riempie le nostre sale.
Sì perché la pellicola tratta dal racconto di Pessoa è qualcosa che lascia disorientati, senza alcun punto di riferimento e lo diciamo nel senso più positivo del termine. Una luce illumina i due protagonisti e gli oggetti con cui interagiscono, due poltrone, gli scacchi, un piatto, un sigaro. Il resto è buio. E tu da spettatore medio cerchi nel buio, cerchi qualcosa che risponda alle domande base di una scena: dove sono? Quando? Cosa c’è attorno?
Ma poi accade la magia del cinema, che in questo caso è la stessa del teatro, e le domande non esistono più, se non quelle che ti pone lo stesso banchiere, e ti ritrovi immerso una una storia che, scritta nel 1922, risulta ancora attualissima.
Base vuole stimolare la mente di chi guarda, ma non lo fa mai né con presunzione, né come se lui fosse parte di una casta elitaria a cui noi non potremmo mai prendere parte e per un testo del genere, dove si potevano rischiare tanti errori qui intelligentemente evitati, è davvero qualcosa di straordinario.
Il banchiere anarchico, come lo Shadow di Zhang Yimou sempre presentato qui alla mostra, gioca con i bianchi e i neri, con le ombre e con le luci, sfruttando la macchina da presa nel modo più intelligente possibile e coinvolgente. Noi spettatori siamo l’ombra del protagonista, sua coscienza e pensieri, lo illuminiamo e lo oscuriamo, tanto da sembrare più noi la persona con cui il banchiere dialoga.
Base per raccontare il potere utilizza la cosa più potente che esista: le parole. Il flusso inarrestabile di pensieri avvolge e fa riflettere, mettendo in moto i neuroni degli spettatori immergendosi in un’atmosfera senza tempo e dai riflessi universali.
Luci e ombre di una borghesia senza filtri, messa a nudo dal protagonista che si fa portavoce di uno spaccato della società e che ci conduce ad una risoluzione finale amara, in contrapposizione con la fetta di torta dell’ultima scena, senza via di scampo. Giulio Base mette in scena una seduta psicoanalitica che si fa “a parte” come i più grandi drammi teatrali, fino a trasformarsi in uno scontro verbale raffinato e libero da qualsiasi preconcetto, trasformando così Il banchiere anarchico in una delle più grandi sorprese di questa 75esima Mostra del Cinema di Venezia.
Sara Prian