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Recensione di: Il discorso del re

 “Il discorso del re” è un film che ha fatto incetta di premi in giro per il mondo. Vincitore del premio del pubblico al Toronto International Film Festival, miglior film al British Independent Film Awards 2010 e con ben sette nomination ai Golden Globe, delle quali ha portato a casa quella per il miglior attore in un film drammatico (Colin Firth), la pellicola diretta da Tom Hooper (acclamato regista cinematografico e di miniserie televisive come “Elizabeth I” con Helen Mirren e Jeremy Irons), viaggia a vele spiegate su acque pressoché tranquille verso il trionfo alla notte degli Oscar (ben dodici le nomination!). Questo è il primo biglietto da visita per un film che mescola una scrittura sobria e contenuta, ad uno humor tipicamente inglese, che non lesina sulle battute pungenti, persino quando si tratta di attaccare le stantie “metodologie” dei reali di Gran Bretagna. Il secondo è l’ottima interpretazione di Colin Firth, che dona magnificenza ed eleganza ad un personaggio goffo e inadatto a ricoprire il ruolo assegnatogli. Bertie (Colin Firth), che soffre da tutta la vita di una forma debilitante di balbuzie, viene improvvisamente incoronato Re Giorgio VI d’Inghilterra. Con il suo paese sull’orlo della guerra e disperatamente bisognoso di un leader, sua moglie, Elisabetta (Helena Bonham Carter), la futura Regina Madre, organizza al marito un incontro con l’eccentrico logopedista Lionel Logue (Geoffrey Rush). Con l’aiuto di Logue, della sua famiglia, del suo governo e di Winston Churchill, il Re riuscirà a superare la sua balbuzie e farà un discorso alla radio che ispirerà il suo popolo e lo unirà in battaglia. Da una parte i discorsi pubblici, con il peso della responsabilità di esserne all’altezza, dall’altro quello stesso senso di consapevolezza del proprio ruolo che non fa indietreggiare il protagonista, sono quella cifra intimista di un film garbato e piacevole, da gustare rigorosamente in lingua originale.

Serena Guidoni

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