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Recensione di: Immortals 3D

Sono ancora una volta i miti greci ad essere presi di mira. Ancora una volta l’antico mondo ellenico viene “deriso” stando alla mercé di nuovi linguaggi e messe in scena che ne snaturano la credibilità. A farne le spese stavolta è l’eroe Teseo, artefice di cotante sfide umane e sentimentali e ridotto qui ad un bulletto dal fisico scolpito.  In uno scenario mitologico dominato da forze ancestrali, il tiranno Iperione setaccia la Grecia alla ricerca del leggendario Arco di Epiro, creato da Ares per liberare i Titani dalla prigionia degli Dei e annientare l’umanità. Una sacerdotessa di nome Fedra e un contadino scelto da Zeus per proteggere la patria, Teseo, si cimentano in un’avventura da cui dipenderanno le sorti del mondo. La sceneggiatura, scritta a quattro mani dai fratelli Charley e Vlas Parlapanides, ha in se il grosso limite di voler attualizzare dialoghi e situazioni epiche, rendendoli delle volte persino ridicoli. Gli dei sembrano più dei modelli da copertina che si sollazzano nel Monte Olimpo, in attesa di un loro doveroso intervento. Un racconto celebre come quello che vede Teseo impegnato a sconfiggere il Minotauro, è ridotto ad un incontro di wrestling, senza un reale labirinto e tantomeno filo di Arianna. Il racconto epico, così come ce l’hanno tramandato i greci, viene sradicato di poesia e ataviche fattezze, per venire in contro alle esigenze del cinema contemporaneo, incapace troppo spesso di creare nuove storie e quindi costretto ad attingere da un bacino inviolabile. Per i puristi la trasmutazione del mito è un atto immorale e, nonostante non si possa negare il divertimento che battaglie ed ambientazioni ricreate con la computer grafica scaturiscono nell’occhio dello spettatore, il risultato è un copione già visto. Uno fra tutti ci viene in mente ovviamente 300, ed in Immortals ritroviamo proprio Gianni Nunnari e Mark Canton produttori del film di Zack Snyder. Ma se 300 partiva da presupposti ben diversi, ovvero la trasposizione cinematografica di un fumetto di Frank Miller, e data la natura del “racconto” ci si poteva permettere di osare mescolando videogame e comics, in questo caso la narrazione si perde proprio nella messinscena, votata elusivamente alla spettacolarità. Tarsem Singh, classe 1961 ma con all’attivo solo due pellicole (The Cell del 2000 e The Fall del 2006), è stato più volte apprezzato per il suo talento visionario, ma qui la sua regia perde forza e vigore, chinandosi fin troppo all’uso del 3D.

Serena Guidoni
 

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