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Recensione di: In the Market

“Spaghetti horror grondante sangue” è la definizione coniata dal regista, il giovane aretino Lorenzo Lombardi, per il suo film.
A dire il vero a noi In the Market è parso davvero un incubo, in tutti i sensi. Un incubo “dal tramonto all’alba”, letteralmente (come recita l’insegna fuori dal market con evidente omaggio alla pellicola cult di Robert Rodriguez). Anzi dal pomeriggio all’alba. Tanto dura la discesa agli inferi vissuta da tre ragazzi partiti a bordo della loro jeep per un viaggio in cerca di avventure.
Particolare piuttosto inquietante, il regista ha dichiarato di essersi ispirato a un fatto di cronaca. La sua fonte è un “Missing Person Report” cioè un vero rapporto di persone scomparse della polizia del Texas datato 30 luglio 2005. Tre teenager partirono per un viaggio da cui non fecero più ritorno. Il rapporto della polizia della città di El Paso (Texas) riferisce di tre ragazzi in viaggio sulla loro jeep misteriosamente scomparsi. I tre erano stati avvistati l’ultima volta mentre parcheggiavano la jeep davanti a un market nei pressi della cittadina di Belen. Prendendo spunto da questo fatto di cronaca, il giovane Lombardi ha realizzato una specie di road movie dell’orrore a basso budget in cui mostra apertamente di amare certo cinema americano.
A metà strada tra Hostel e i vari capitoli di Saw, pellicole simbolo di nuovo genere, il cosiddetto splat pack nuovo filone dell’ horror americano che indugia particolarmente su torture e crudeltà di ogni tipo (cui il regista vuol fare evidentemente il verso) e con una prima parte evidentemente debitrice del cinema di Tarantino (citato apertamente con una sequenza di Grindhouse mostrata sullo schermo di una tv di una pompa di benzina), il film finisce però per naufragare miseramente in un mare di sangue, dolore e disperazione.
L’orrore è dietro l’angolo, anzi dentro a un supermercato dove tre giovani decidono di passare la notte con l’intenzione di far razzia di merce dopo essere stati derubati di tutti i loro averi a una pompa di benzina. Ma tra corpi mutilati, sezionati e divorati, motoseghe, lame affilatissime, all’interno del market scorrerà solo sangue, sangue e ancora sangue.
Nella seconda parte a farla da padrone sono soltanto urla di disperazione, dialoghi deliranti, citazioni bibliche e sadismo à go-go. Si aggiunga una recitazione da “voto zero” e una sceneggiatura molto mediocre e il piatto è servito.
E il “sentiero atroce che noi tutti imbocchiamo” di cui parla Adam, il macellaio-killer seriale del film, è quello che imbocca lo spettatore quando, ahimè, entra in sala deciso a vedere questo film.
Astenersi spettatori impressionabili.
L’avviso che segue è invece per tutti, anche per i meno suggestionabili. Dopo la visione di questo film si verrà colti dal rifiuto di mangiare carne per qualche giorno e soprattutto non si avrà molta voglia di andare a fare la spesa in macelleria.
Disturbante.

Elena Bartoni

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