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Recensione di Jackie Brown

Jackie Brown è una hostess attraente che commercia illegalmente denaro per Ordell Robbie, un contrabbandiere d’armi. Ordell ha come socio Louis Gara, un frastornato ex galeotto, e Melanie, una bionda sballata e fra le nuvole. Jackie viene arrestata dopo un viaggio in Messico da due poliziotti del reparto antifrode sulle tracce di Ordell. In cambio della libertà si decide a collaborare con la polizia. Dotata di attrattiva e sangue freddo la signora Brown ingannerà agenti e malviventi, riscuotendo il denaro di Ordell e abbagliando con la sua avvenenza un garante di cauzioni. Questa è la trama del terzo film dell’ancora giovane Quentin Tarantino, “Jackie Brown”, datato 1997, il film più lineare del poliedrico regista.
La pellicola ha il merito di far conoscere alle generazioni degli anni Novanta, un genere molto in voga circa venti anni prima: il Blaxploitation. Questo genere degli anni Settanta, assolutamente a basso costo e con attori e registi prevalentemente afro-americani, deriva dalla fuzione delle parole inglesi “black” (nero) ed “exploitation” (sfruttamento): infatti per molti anni gli stessi registi ed attori appartenenti a questo genere rifiutarono il termine perché considerato offensivo e razzista.
Tarantino ovviamente nel 1997 dimostra al mondo quanto sia bravo nel realizzare un film di genere, affidando la parte di protagonista alla regina del Blaxploitation: Pam Grier. Attorno alla bravissima attrice ruota un cast anch’esso d’eccezione fatto da  Robert Forster, Robert De Niro, Samuel L. Jackson, Michael Keaton e Bridget Fonda.
“Jackie Brown” è un omaggio alla sceneggiatura, anche se, come detto, i fan più tarantiniani potrebbero accusare il regista di aver realizzato un’opera troppo semplice, sicuramente meno pulp de “Le iene” e “Pulp Fiction”. Eppure c’è tutto il meglio di Tarantino: dialoghi brillanti, regia fatta di lunghi piani-sequenza, e cambi continui del punto di vista dei vari personaggi.
Insomma un altro cult da aggiungere alla filmografia, data l’ottima prova del sempre geniale regista di Knoxville.

Davide Monastra

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