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Recensione di: Lanterne Rosse
Nella Cina del Nord nei primi anni Venti, una studentessa interrompe gli studi per diventare la quarta moglie di un ricco signore. Diventando una concubina, la ragazza vive in un bellissimo palazzo, architettonicamente elaborato, metafora perfetta della tortuosa situazione della donna in Cina. Il film, che ha vinto il Leone d’Argento a Venezia e che non è stato distribuito nella Cina Popolare, è tratto dal romanzo “Moglie e concubine” di Su Tong, piaciuto talmente tanto al regista Zhang Yimou da realizzare quest’opera sublime, un piacere per gli occhi.
Attraverso la storia e la sua protagonista, il film scandaglia con una regia perfetta, conforme allo stile di Yimou, forse leggermente meno fine a se stessa, temi delicati e politicamente scorretti: la differenza tra i sessi, le logiche di potere, la rigorosa morale che governa le classi alte cinesi, che non esenti dal libertinaggio. Il linguaggio scelto dal regista è quello di essere austero, soprattutto nella scelte delle inquadrature.
Le lanterne rosse sono proprio il simbolo della possibilità di fuggire a un ordine rigoroso; sono un piccolo momento di libertà dalla splendida prigione dorata in cui vivono i protagonisti del film. In questo mondo così rigoroso, ogni piccolo cambiamento causa squilibrio, mostrando la vera natura di questa realtà, dove la depravazione e l’orrore la fanno, spesso da padrone, rispetto alla morale vigente. Film da non perdere.
Davide Monastra