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Recensione di: Le nevi del Kilimangiaro

Diretto dal regista marsigliese Robert Guédiguian, Le nevi del Kilimangiaro, narra la vicenda di  Michel, un operaio sindacalista che, nonostante sia stato appena licenziato, vive una vita di stenti ma felice accanto a sua moglie Marie-Claire. Sono tempi duri a causa della crisi, ma questa famiglia con forza e caparbietà, cerca di andare avanti non perdendo di vista i propri ideali. Un giorno, però, due uomini armati e mascherati, entrano in casa loro e li derubano. Questo avvenimento tragico, sconvolge quegli equilibri fino ad allora impeccabili, ma non facendone scaturire un comportamento violento, bensì una comprensione di ciò che si nasconde dietro la rapina. I due coniugi verranno infatti a scoprire che dietro il gesto criminale, c’è una storia di dolore e solitudine. Il film trae spunto dalla poesia Les pauvres gens di Victor Hugo, e ha in sé tutte le caratteristiche di un tipico dramma sociale alla francese. In realtà ciò che, però, non ci consente di assolvere il film è l’eccessiva retorica con la quale viene affrontato il tema. Anche se ci ponessimo nei confronti di questa storia come spettatori privi di cinismo, ne noteremmo comunque l’eccessivo modo edulcorato di affrontare una realtà drammatica. Senza voler svelare nulla della trama, è importante sottolineare come le scelte dei protagonisti, vadano in una direzione del tutto buonista e caritatevole, come se il “torto” subito (la rapina con pestaggio) fosse un contrappasso necessario a causa della troppa felicità fino ad allora maturata dalla famiglia. Se la regia ha dei guizzi piacevoli nella prima parte, nella seconda perde completamente le briglie quando, in momenti che definiremmo topici, sottolinea le scene con un uso della musica ridondante, che spesso finisce col sovrastare gli stessi dialoghi fra i personaggi. Eccessivo nell’uso delle “metafore” politiche, monito per scuotere le coscienze intorpidite delle “vecchie guardie”, il film non riesce a catturare lo spettatore, neppure quando da voce ai giovani arrabbiati.

Serena Guidoni

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