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Recensione di: Magnifica Presenza

Se una delle opere più belle del teatro come Sei personaggi in cerca d’autore, dell’indiscusso maestro dell’umorismo Luigi Pirandello, viene presa come punto di riferimento per fare un film, bisogna entrare in quella “casa” con smisurata umiltà. Quella profondità d’intenti e la immensa arguzia nell’amalgamare dramma e commedia, sono elementi imprescindibili per approcciarsi a tematiche quali il confine fra finzione e realtà, dove il concetto di metateatro (e di conseguenza quello di metacinema) rappresenta, se non altro, il punto più alto di una intima riflessione sul mezzo. Ferzan Ozpetek con il suo ultimo lavoro Magnifica presenza, scrive (insieme a Federica Pontremoli) e dirige una storia nella quale gli elementi sopracitati sono, in qualche modo, il punto di partenza dal quale si dipana la vicenda, ma non il fine ultimo del ragionamento. Abile nella costruzione di film corali, nei quali la miriade di personaggi che ci si parano davanti sono caratterizzati e caratterizzanti di un “tipo” sociale, in questo film il regista turco, naturalizzato italiano, pecca nel voler strafare, soprattutto per quanto riguarda la commistioni dei generi. C’è tutto in Magnifica presenza, suspance, thriller, dramma, commedia, e tutto questo potpourri di generi affatica un film che nella sua trama basica avrebbe potuto essere vincente. L’introverso e solitario Pietro, ventottenne siciliano che si trasferisce nella Capitale per coltivare la sua vera passione, ovvero fare l’attore, è costretto per vivere a fare i cornetti in un panificio. Quello che, inizialmente (almeno per lui!), rappresenta una svolta nella sua vita, è l’essersi finalmente potuto permettere un affitto in una casa per conto suo, lontano dall’assillante cugina Maria. L’appartamento, nel cuore del quartiere Monteverde, ha tutte le carte in regola per diventare un nido confortevole, se non fosse per l’inaccettabile presenza di “inquilini” indesiderati.  Confinati in quell’appartamento da ormai quasi settant’anni, questi “ospiti” hanno una storia dolorosa alle spalle, nella quale Pietro finirà inevitabilmente col farsi coinvolgere. Elio Germano, che interpreta il protagonista del film, è il capocomico di questa strana “compagnia”, i cui interpreti inconsapevoli, della loro natura e del loro status, appartengono essi stessi ad un universo di finzione (quello del teatro). Il film per quanto, come detto prima, ha di base una storia convincente, si perde nell’eccessiva presenza di temi e generi narrativi, aggiunti quasi a caso o per voler riempire. Temi quali l’Unità d’Italia, Seconda Guerra Mondiale, Resistenza, teatro nel teatro, e ancora indifferenze sociali, solitudini, sono pressati entro un unico racconto che ha il limite di non affrontarne neanche uno con il giusto peso e misura.

Serena Guidoni
 

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