Recensione di: Qualcuno volò sul nido del cuculo
Cosa succede quando Jack Nicholson, Louise Fletcher, Will Sampson, Christopher Lloyd e Danny DeVito si incontrano nello stesso ospedale psichiatrico?
5 premi Oscar: Miglior Film, Miglior Regista (Miloš Forman), Miglior Attore Protagonista (Jack Nicholson); Miglior Attrice Protagonista (Louise Fletche); Migliore Sceneggiatura non originale (Bo Goldman, Lawrence Hauben).
La vicenda narra di un carcerato americano, J. Nicholson, che sceglie di “soggiornare” in un manicomio per aggirare il campo di lavoro carcerario. Giunto nella struttura Nicholson scopre una sorta di città stato, dove i malati subiscono le angherie dei dottori e delle infermiere. Inizialmente divertito McMurphy (J. N.) scopre col tempo di come la vita possa essere ingiusta anche se vista dall’ottica di un malato di mente teoricamente incapace di giudicare tra giusto e sbagliato. Il disgusto che ne deriva lo porterà a cercare di scuotere le menti dei suoi compagni d’avventura, regalando loro momenti di felicità e di vita “quotidiana” secondo l’ottica delle persone comuni ma “nuova e divertente” secondo l’ottica dei pazienti.
A differenza di altre performance dove la camaleonticità facciale di Nicholson lo esalta rendendolo unico nel suo genere, in questo film sono le espressioni più semplici a rendere la figura di McMurphy tremendamente reale e irresistibile. Può un delinquente medio americano ergersi a difensore strenuo della libertà e della dignità umana? Sicuramente il film commuove e trasmette emozioni forte, dati i temi sociali che vengono trattati con la durezza e crudezza che purtroppo per decenni ha colpito individui inermi, colpevoli solo di essere di un’etnia diversa o semplicemente incapaci di far valere i propri diritti.
Finale sicuramente da ricordare, in un mescolarsi di sensazioni che rapiscono lo spettatore lasciandolo tra soddisfazione e tristezza, mix che comunque ricorre durante tutte le oltre 2 ore del film, dove vengono alternati momenti di spensierata allegria a situazioni lente e introspettive.
Daniele Riccardelli