Recensione di: Ray
Come nasce una leggenda? Come si diventa un mito? Come si cambia lo status quo? Sono queste le domande a cui risponde il regista Taylor Hackford con il film “Ray”, biopic dedicato alla stella del pianoforte Ray Charles, il primo a mescolare insieme generi musicali diversi: rhythm and blues, musica country, gospel, rock’n’roll…
Certo come ogni nuovo esperimento prima di affermarsi c’è voluto del tempo e ripercorrendo le tappe della vita del musicista, scopriamo tutto il passato dell’uomo Ray: il suo passato turbolento, la droga, i rapporti con la famiglia, le donne che lo accompagnarono nella sua carriera, la difficoltà ad imporre la sua musica per quelle odiose leggi razziali.
Ovviamente c’è il racconto della malattia: un bambino sfortunato che smette di vedere i colori, a causa di un glaucoma all’età di cinque, acquisendo però la capacità di trasformare i suoi sentimenti, i suoi pensieri, in musica. Soffermandosi sui risvolti psicologici della vita di Ray Charles, con una fotografia che riscalda l’anima, il film è un omaggio ad un uomo che ha vinto sulla sfortuna e la vita. Eccesso di encomio e patetismo? Forse sì, ma la musica fa perdonare anche questo!
Attraverso delle vigorose mani che scorrono, contro tutto e tutti, su un pianoforte, tra tasti bianchi e tasti neri, questa pellicola entra e rimane dentro lo spettatore, aiutata dalle meravigliose note dei successi intramontabili del bluesman: “Georgia on My Mind”, “I Can’t Stop Loving You”, “Unchain My Heart” e “Hit the Road Jack”…
Da ammirare la straordinaria interpretazione di Jamie Foxx, particolarmente ispirato nelle vesti di Ray Charles, tanto da vincere nel 2005 sia il Golden Globe sia l’Oscar come Miglior Attore Protagonista.
Davide Monastra