Recensione di Sulla mia pelle – Venezia 75
Sulla mia pelle racconta di uno dei casi più discussi in Italia negli ultimi anni, tra politica ed etica approdando alla Mostra del Cinema di Venezia. Uno sconvolgente, commovente e riflessivo quadro d’insieme della vicenda che riguardò Stefano Cucchi, tossicodipendente, che ‘si dice’, morì a causa delle troppe percosse perpetrate da parte di alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine.
In verità pochi sanno veramente cosa accadde in quei sei giorni in cui il giovane accusato dimagrì notevolmente e subì angherie psicofisiche da parte di coloro che dovevano dare l’esempio. Il film che vedremo sul grande schermo grazie a Lucky Red e sul piccolo grazie a Netflix, si concentra proprio su questo, sulla sofferenza, sulla carne, quella tumefatta che spesso il pubblico ha visto al telegiornale.
Il ragazzo venne arrestato una sera con l’accusa di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e la mattina di sei giorni dopo venne trovato morto. Il regista Alessio Cremonini e la sua co-sceneggiatrice Lisa Nur Sultan dopo aver letto quasi 10mila pagine di verbale con su scritto fatti, dati e carte processuali, hanno cercato di ricostruire obiettivamente quanto accaduto, riuscendoci in pieno.
Quasi da considerarsi come un docu-film, Sulla mia pelle riesce a colpire nel profondo lo spettatore, lo pone di fronte allo scorrere, seppur in maniera quasi soffocante, del tempo, quei sei giorni lunghissimi, raccontati con determinazione e oggettività. Docu-film proprio perché documenta nella sua fiction la realtà dei fatti, con crudezza e senza mezzi termini.
La vera abilità della coppia Cremonini-Nur Sultan è consistita nel fatto di aver raccontato la vicenda con responsabilità di cronaca, senza dimenticare cos’è il cinema; da sottolineare infatti, la toccante interpretazione di Alessandro Borghi, che fa trasparire tutto il dolore provato da Cucchi, psicologico e fisico, inducendo lo spettatore ad entrare in empatia con lui.
Sulla mia pelle non giudica, non dà una sua opinione o l’opinione del regista e del cast, bensì racconta per far riflettere, per mostrare uno spiraglio di luce a chi vuol capirci di più in merito. È un film intimista, anche se “grida” al pubblico, grida la denuncia, l’assurdità della tortura e l’esigenza di reclamare l’essere una persona, al di là di un errore. Un film tra quelli finora visti, da consigliare, per cercare di non lacerare ulteriormente la ferita ancora aperta nel cuore degli italiani.
Alice Bianco