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Recensione di: The tree of life

Quando alla fine di un film si riaccendono le luci in sala, c’è sempre qualcuno che a brucia pelo ti fa la fatidica domanda: Ti è piaciuto? Ci sono casi in cui la risposta viene da se, ma a mio parere è giusto concedersi quei cinque minuti di assestamento post proiezione prima di emettere un verdetto. Metabolizzare il film in questione richiede ben più di quei minuti di riflessione, perché l’imponenza delle immagini appena viste, ti colgono talmente impreparato da metterti a dura prova. Terrence Malick non è uno di quei registi/macina film la cui filmografia si stende per chilometri di pagine (appena quattro film in quasi quarant’anni di carriera, tra i quali lo splendido “La sottile linea rossa”, 1998); è un filmmaker nel senso più ampio del termine, uno che si prende il suo tempo per finire e mostrare il suo lavoro, con una dedizione e precisione davvero maniacali. Se il cinema è in fondo immagini in sequenza, “The tree of life” è il tributo più “religiosamente” realizzato dopo “2001: Odissea nello spazio”, nel quale assistiamo ad una sinfonica e perturbante concatenazione di stati emotivi che trascendono dall’immaginario collettivo, trainandoci dal dolore di una famiglia del Texas, ai grattaceli di una città moderna, per poi scaraventarci con tutto il peso dello stupore in una spettacolare, quanto scenograficamente ineccepibile, origine dell’universo. Un lavoro talmente complesso dall’aver suscitato non pochi fischi di disappunto alla proiezione stampa di due giorni fa al Festival di Cannes (nel quale il film è in Concorso), situazione decisamente ribaltata nella prima per il pubblico, nella quale il film ha ottenuto l’approvazione che merita. Dicevamo lavoro complesso ma anche decisamente ambizioso, che non si limita o nasconde dietro il racconto di una “banale” vicenda familiare, nella quale assistiamo al rapporto di sudditanza di una moglie (l’esordiente Jessica Chastain) e i suoi  tre figli (il più grande Jack interpretato nella fase adulta da Sean Penn) nei confronti di un padre padrone (Brad Pitt). La storia non è che il punto d’appoggio al quale il film torna sempre dopo aver vagato tra le profondità della Materia, dalla quale ha origine il Tutto, per poi salire a delle vette talmente alte dall’interpellare Grazia e Natura come fonti dalle quali attingere le risposte. Panegirico di una divinità che non ha un nome, il film si snoda su piani temporali scardinati dal tempo, ma legati fra loro dalla maturazione psicologica che affronta Jack. La fotografia che dipinge sia il metafisico che la durezza del reale, è accompagnata dall’uso calibrato e ponderato di dialoghi e concetti che attestano la profonda ricerca che il regista ha fatto per il tema trattato. Un film al quale non si può dire no…

Serena Guidoni
 

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