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Recensione di: Tron Legacy

Ormai è inevitabile… l’uso sfrontato degli effetti speciali ha reso quanto mai obsoleta la costruzione di una sceneggiatura che ne valorizzi le immagini. Il cinema è irrimediabilmente diventato anche e soprattutto questo, e lo testimonia il fatto che le grandi produzioni sostengano maggiormente un uso spropositato dell’effettistica, che il desiderio atavico di comunicare storie degne di questo nome. Se il Tron diretto da Steven Lisberger, datato 1982, era una vera e propria innovazione, per quel che concerne racconto ed utilizzo della computer grafica applicata al cinema, la “nuova” veste, che passa attraverso le avatariane scoperte tecnologiche, delude ogni qualsivoglia aspettativa. Sono passati quasi trent’anni e Tron Legacy non aggiunge assolutamente alcun elemento chiarificatore ad una storia che fu dignitosamente avanguardistica, anzi muta la psicologia del personaggio cardine, e con lui tutto l’impianto narrativo, in maniera indecorosa. Il “creativo” Flynn, spregiudicato paladino di una tecnologia votata al servizio dell’umanità, si trasforma in una sorta di guru del Sistema, che ragiona con la lentezza dell’asceta; quello che fu il risultato del predominio delle macchine sull’ uomo (Master Control Program), diviene un surrogato dell’alter ego del protagonista, un programma chiamato Clu, che di inquietante ha solo il volto ritoccato con photoshop di Jeff Bridges. Il regista Joseph Kosinski, dichiaratosi cultore del film originale, da l’impressione di dimenticarsene, favorendo esclusivamente mirabolanti corse in moto e architetture futuristiche. Ognuno dei personaggi, dalle new entry (Sam il figlio di Flynn, Quorra o il bizzarro Castor), agli “amici” di vecchia data, non ha il benché minimo spessore psicologico; lo spettatore è continuamente illuso di avere da un momento all’altro qualche delucidazione, ma si abbandona frustrato al predominio del 3D. Anche su questo, però, ci sarebbe qualcosa da obbiettare, visto che gli occhialini servono esclusivamente ad incupire ancora di più l’immagine e non a darti quel giusto senso di profondità. Se qualcosa di positivo vogliamo trovare nel film è senza dubbio l’accattivante e suggestiva colonna sonora dei Daft Punk.

Serena Guidoni

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