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Recensione di: Una separazione

Sin dalle prime inquadrature si percepisce che Una separazione è uno di quei rarissimi “miracoli” del cinema, capaci ancora di sconvolgere le nostre menti intorpidite e consegnarle ad un livello di raffinata semplicità, che nella claustrofobia delle mura domestiche è abile nell’aprirsi a temi politici, sociali e religiosi, senza mai correre il rischio di essere banale. Asghar Farhadi, già autore dello splendido About Elly, torna a parlare del suo Paese, l’Iran, nel quale convivono due realtà profondamente divise e  contraddittorie. L’una è rappresentata da uomini e donne morbosamente legati a codici religiosi e che, inevitabilmente, finiscono col determinare i propri comportamenti e reazioni all’interno della società stessa; l’altra, composta da individui emancipati e coscienti del proprio potenziale, in grado di scegliere autonomamente e profondamente devoti al proprio stato di libertà. L’incipit del film è emblematico di questo secondo schieramento: Simin e Nader sono di fronte ad un giudice per discutere della richiesta di divorzio di lei, intenzionata a lasciare il Paese insieme alla figlia Termeh, ma non supportata dal proprio marito. Veniamo presto a sapere che la motivazione che impedisce a Nader di seguire sua moglie è legata all’Alzheimer del padre e dal fatto che non intenda abbandonarlo. Quando entriamo in casa di Nader, veniamo a contatto con l’altra faccia della stessa società, rappresentata da Razieh, una giovane donna profondamente religiosa, assunta, all’insaputa del marito, per occuparsi del padre di Nader. Un giorno però avviene un fatto inaspettato: al suo ritorno dal lavoro, Nader trova suo padre accasciato sul pavimento, privo di sensi e con un polso legato ad un mobile. Il film da dramma domestico assume improvvisamente i tratti di un thriller psicologico che trascina i protagonisti in una escalation di bugie, fraintendimenti ed omissioni, non salvando nessuno dalle proprie responsabilità. Il dramma si consuma lentamente e i suoi attori, benché in misura differente, risultano egualmente colpevoli e non vengono assolti in maniera totale. Il regista è chiaramente “indisposto” nel dare la definizione di buoni o cattivi: ognuno nel suo piccolo, contravvenendo ai dei dettami societari autoimposti, corre il rischio di rimanere impigliato nella trappola della menzogna, che genera e degenera in altre menzogne e dubbi. Dove sta la “reale” verità in fondo non ci è dato saperlo, tutti difendono la propria identità con caparbia risolutezza, e noi spettatori siamo come stretti in un angolo e incapaci di decidere da che parte stare. Vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo Festival di Berlino, Una separazione potrebbe essere candidato all’Oscar per il miglior film straniero.

Serena Guidoni
 

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