RoboCop – Recensione
L’ondata di remake e reboot abbattutasi su Hollywood non poteva risparmiare il mitico cyber-sbirro, immortalato dalla regia di Paul Verhoeven nel 1987. A resuscitarlo è Josè Padilha, provetto documentarista e responsabile, in tema di film a soggetto, del controverso, Tropa de Elite – Gli squadroni della morte. Come noto la vicenda, qui rielaborata abbastanza liberamente, si svolge in un prossimo futuro dominato dall’onnipresenza della tecnologia e dall’invadenza dei mass media. Alex Murphy, poliziotto integerrimo ridotto in fin di vita da criminali senza scrupoli, si ritroverà coinvolto nei progetti della multinazionale OmniCorp. Quel che rimane di lui verrà impiantato in un involucro robotico, trasformandolo in una macchina da giustizia. La fragorosa e pungente aggressività del RoboCop di Verhoeven, dove l’iperviolenza grafica era strumento ideale di un sarcasmo satirico al vetriolo, è per lo più accantonata. Padilha punta infatti a smussare gli estremi della rappresentazione, rallentandola e raffreddandola. Tiene rigidamente sotto controllo la recitazione di ogni interprete, così come il tasso di violenza (splatter azzerato, in antitesi al prototipo), e trascura gli stimoli sensoriali per subordinarli allo scavo psicologico. Il fulcro non sono le sparatorie nè la riscossa di Murphy contro i cattivi (tra l’altro caratterizzati in maniera troppo indefinita per suscitare repulsione o antipatia) bensì la guerra interiore di un uomo alle prese con lo stravolgimento del proprio essere e del rapporto con i propri cari. Il bilancio dei cambiamenti è però in passivo. Alcune pagine intense non riscattano un andamento spesso pesante, discontinuo, specchio della scarsa esperienza da parte del regista nel gestire i ritmi in un contesto fantascientifico. Mancano la verve e i guizzi inventivi necessari per mettere a frutto il potenziale polemico/drammatico della sceneggiatura, e lo si percepisce fin dal prologo precedente i titoli di testa. In una colonna sonora appena discreta fa ogni tanto capolino l’indimenticabile tema musicale anni ’80 di Basil Poledouris, acuendo la nostalgia verso la sana, asciutta concretezza dell’originale. Opera di indubbio coraggio, ma irrimediabilmente rigida.