Royal Affair – Recensione
“Il cavaliere di Re Artù, Sir Lancillotto, era l’amante della Regina Ginevra. Il Re lo scoprì e ordinò che fossero uccisi e il regno si divise”.
Il racconto che fa Brandt al dottor Struensee ben riassume in poche parole l’anima di “A Royal Affair”, candidato all’Oscar come miglior film straniero, diretto da Nikolaj Arcel, sceneggiatore dell’originale “Uomini che odiano le donne”.
Siamo nella Danimarca del 1768, Joahnn Friederich Struensee (Mads Mikkelsen), dottore tedesco, accompagna il Re Christian VII (Mikkel Boe Følsgaard) per il suo tour europeo, diventandone l’amico più fidato. Forte degli ideali illuministici, Struensee, riuscirà a far approvare alcune riforme sulla libertà di stampa, sull’istruzione aperta a tutti e sull’abolizione della tortura. Tutto questo mentre intessa una relazione adulterina con la Regina Caroline (Alicia Vikander).
La pellicola di Arcel, trattando un argomento come la corte danese del 18° secolo, diventa un documento di rilevanza storica oltre che di ottima fattura cinematografica, riuscendo perfettamente nella descrizione dei vari personaggi in campo. Il Re Cristian VII sbeffeggiato a corte, è un uomo sopra le righe, fortemente lunatico, facilmente condizionabile che solo l’arrivo di Struensee, dai forti ideali illuministici, riuscirà a far cambiare, imparando, almeno apparentemente, a far sentire la sua voce e le sue idee.
Nonostante le sue oltre due ore di proiezione, riesce a farsi guardare con curiosità e partecipazione, grazie ad un impianto narrativo scorrevole e mai pedante, che riesce a mettere in campo l’intera vicenda mostrandoci tutti i punti di vista dei protagonisti.
“C’è del marcio in Danimarca” diceva Shakespeare, primo a raccontare gli intrighi di quella specifica corte, che si fa maestro per Arcel. La corte Danese è piena di persone bigotte, dispotiche, incapaci di ascoltare i venti di novità che l’illuminismo sta soffiando su tutta l’Europa. E’ questo il marcio secondo il regista di Copenhagen; non è tanto il tradimento della regina con il fido “Lancillotto” di turno, ma l’incapacità di progredire, di aprirsi ad un mondo nuovo, di accompagnare la fede con la razionalità delle idee scientifiche.
La storia, così poco conosciuta fuori dai confini della Danimarca dove viene studiata a scuola e raccontata in tantissimi libri, è avvincente e non trova mai momenti di calo, restituendo con credibilità gli antichi credo dell’epoca, come quella che voleva che il Re annunciasse a cena le sue visite notturne nelle camere delle Regina.
Se c’è qualcosa da imputare a questa pellicola è la mancata voglia di rischiare di Arcel dal punto di vista del linguaggio cinematografico, dove si poteva, con inquadrature più mirabolanti, ritrarre la confusione nella mente di Cristian e della corte stessa, evitando la classica messa in scena da film in costume che sa di già visto.
“A Royal Affair” è comunque uno di quei film di genere ben confezionati che si lasciano guardare piacevolmente.
Sara Prian