Sangue del mio sangue – Recensione
Dopo cinquant’anni dal primo film, Marco Bellocchio ritorna al Festival di Venezia ed in concorso con Sangue del mio sangue, una pellicola che non è sicuramente adatta a tutti. Due film in uno, che si intersecano senza apparentemente un filo logico; un fil rouge però c’è, quello che permette allo spettatore di dare un senso alla pellicola.
Prendendo spunto dalla storia de La monaca di Monza, Bellocchio ha messo al centro della vicenda una suora (Lidiya Liberman) che, innamorandosi di un sacerdote per il quale soffrirà delle pene, viene vista come persona legata, da un patto, al diavolo. Ad arrivare al convento prigione, nella quale è rinchiusa la suora, Don Federico Mai (Piergiorgio Bellocchio), fratello del sacerdote sconsacrata dopo la storia con suor Benedetta.
Questa prima parte storica del film è la più “normale”, una narrazione che ricorda la vicenda alla quale si ispira e che vede il peccato, il desiderio, la carne debole e l’animo corrotto, gli elementi comuni.
Una dissolvenza in nero rappresenta il confine tangibile tra il passato e il presente. La storia ambientata nel ‘600 viene abbandonata, le carceri di Bobbio rimangono il set prescelto da Bellocchio per una seconda fase del film, quella ambientata nel “nuovo millennio”, che vede al centro il Conte Basta (Roberto Herlitzka), un anziano che vive nell’ambiente delle carceri, che non vuole morire, figura quasi soprannaturale del paesino laziale.
Il regista ha dichiarato che la pellicola è nata da due progetti differenti ed è percepibile proprio nel momento in cui al ‘600 si sostituisce il presente. Un tempo sospeso fra realtà è fantasia, grazie ad un microcosmo rappresentato dagli abitanti del paese, fra pazzi, finti invalidi e corrotti, in un clima di confusione e allo stesso tempo riflessione esistenziale; esistenziale ma allo stesso politica sull’Italia di oggi, sulla corruzione dell’anima e materiale, ma anche sull’importanza della famiglia e dei rapporti di sangue.
Il coraggio e la sperimentazione sono la grande qualità del film, che mescola vari generi cinematografici, dando vita ad una pellicola di non facile comprensione, ma ricca di spunti di riflessione per gli spettatori che non si arrendono, resistono fino alla fine.
A sostenere maggiormente il film, l’interpretazione di uno degli attori feticcio di Bellocchio, Roberto Herlitzka, per una pellicola che ha diviso la critica al Festival di Venezia. Interpretazioni, pensieri e ragionamenti non abbandonando la mente dello spettatore, certo è Bellocchio ancora una volta fa parlare di sé.
Alice Bianco