Sarà il mio tipo? – Recensione
E’ una delle domande più ricorrenti quando si conosce qualcuno da cui ci si sente attratti: Sarà il mio tipo? Il quesito è anche il titolo italiano di questa raffinata, intelligente, leggera (ma per nulla superficiale) commedia diretta da Lucas Belvaux tratta dal romanzo besteller “Non il suo tipo” (che è anche il titolo in originale del film) dello scrittore francese Philippe Vilain, edito in Italia da Gremese.
Il film racconta una strana storia d’amore tra un filosofo e una parrucchiera, Clément (Loïc Corbery) e Jennifer (Emilie Dequenne). Lui è un giovane professore di filosofia di Parigi che viene trasferito per un anno ad Arras, una piccola cittadina del nord della Francia. Lei è un’esuberante parrucchiera che da sempre vive ad Arras. La giovane donna passa le sue giornate tra il lavoro in un salone, la cura del figlio e le colorate serate al karaoke dove esibisce le sue doti canore con due colleghe. Lui legge Kant e Proust, lei romanzi rosa e riviste di gossip ma l’attrazione è inevitabile. Il loro sentimento è però destinato a scontarsi con due diverse visioni della vita e dei sentimenti.
Parafrasando Roland Barthes il titolo più indovinato del film potrebbe essere “Frammenti di un discorso amoroso”, una serie di situazioni e ragionamenti sull’amore, ma soprattutto di idee diverse sul sentimento che fa girare il mondo.
Un professore parigino e una parrucchiera di paese, un uomo affascinante ma freddo, egocentrico, a tratti cinico e una giovane madre single, passionale ma con la testa sulle spalle. Una storia che, complice una forte attrazione fisica, prende il volo, tra momenti intimi e uscite pubbliche (la scena nella discoteca di provincia con la parrucchiera che coinvolge in un travolgente ballo l’impacciato professore è da applauso). Ma i diversi approcci alla relazione vengono alla luce: da un lato Clement invita Jennifer a godersi il momento senza star troppo a pensare a ciò che accadrà in futuro, dall’altro Jennifer non vuole più sprecare tempo in storie senza un domani. Un intellettuale che viene coinvolto da una donna che è il suo opposto (come Arras è lontanissima da Parigi), un uomo che sembra imbarazzato da una ragazza dai gusti così sfacciatamente ‘popolani’ ma che poi non esita a definire ‘kantiana’.
L’abilità del regista belga Belvaux è mantenere una posizione neutra, sposando le ragioni dell’uno e dell’altro e chiudendo con un finale aperto a diverse interpretazioni.
Il film nasconde, sotto una patina di commedia, una profonda riflessione sui rapporti di coppia, sulla libertà, sulla vera natura di un sentimento complesso come l’amore (“Dubito di quello che sento, di quello che so dell’amore, di quello che credo di sapere. Ma non so niente…” ammetterà a un certo punto il filosofo).
Complice una regia perfetta e senza sbavature e un ottimo lavoro di riscrittura del romanzo originale, Sarà il mio tipo? si regge anche sulle grandi prove dei due attori protagonisti: un Loïc Corbery perfetto e credibile nei panni dell’intellettuale freddo e un po’ snob che viene trascinato da una passione, forse, finora sconosciuta e una Emilie Duquenne (già premiata nel 1999 a Cannes per l’interpretazione di Rosetta di fratelli Dardenne), parrucchiera solare, ridanciana e tenerissima allo stesso tempo. Ciò che disarma è il sorriso talvolta carico di sofferenza con cui Jennifer guarda Clement, consapevole di essere destinata a non riuscire a penetrarlo e a conoscerlo fino in fondo.
E la presa di coscienza è amarissima: di fronte a un microfono, la bionda parrucchiera con l’hobby del canto intona l’immortale hit “I Will Survive” con il dolore ma insieme la voglia di riscatto nel cuore.
Un velo di lucida amarezza incornicia la storia, dopo che la splendida protagonista ha scoperto di essere preda di un sentimento contraddittorio come la “felicità triste”.
Si, perché è proprio questa ineffabile sensazione a imprigionare un amore e a renderlo incapace di spiccare il volo.
Elena Bartoni