Scemo e più scemo 2 – Recensione
Son serviti 20 lunghi anni perché la vulcanica creatività demenziale dei fratelli Farrelly recuperasse le gesta dei due strampalati amici, portatori sani di ingenuità e travolgente stupidità. Due decenni dopo il loro “epico” viaggio ad Aspen, Lloyd e Henry si avventurano in una nuova impresa quando il secondo scopre di avere una figlia concepita 22 anni prima. Il poveretto necessita, per giunta, di un trapianto di rene e la ragazza (graziosissima e, naturalmente, tonta quanto il papà) sarebbe donatrice ideale. Ritrovatola, ecco nuove magagne per via della moglie malvagia del padre adottivo, impegnata a tramare assieme al proprio amante per impossessarsi del patrimonio. Accade di tutto e di più, con sorprese finali a catena. E’ il caso di dirlo, l’attesa è ripagata all’ennesima potenza e la visione è d’obbligo non solo per i tanti fan accaniti bensì per chiunque non sia stato allergico allo humor… esplicito del primo capitolo. Ritmo non sempre trascinante, in apparenza, ma è in realtà più ragionato e costruito, perché la regia è maturata e lo si nota con piacere. Attenzione però, si tratta del consueto divertimento irresponsabile, all’insegna di una demenza svergognata e slegata da ogni falso pudore. Gli espedienti per suscitare la risata sono tutti al loro posto, senza risparmio: equivoci, non sense, comicità slapstick, ironia corrosiva e politicamente scorretta, assurdità virate al grottesco soprattutto nei flashback immaginari di stampo onirico. Buon gusto non pervenuto, chiaro, e nessun timore di ricorrere a marcate inverosimiglianze tra cui coincidenze del tutto incredibili. Del resto la sottotrama simil-thriller è un mero pretesto, un filo condutture su cui innestare il fuoco di fila delle gag e delle battute. Nulla sarebbe però attuabile senza il fulcro del meccanismo, la coppia Jim Carrey/Jeff Daniels. Invecchiati nel corpo, non certo nello spirito e nella verve, si riappropriano dei personaggi e tornano a scatenarli attraverso un istrionismo contagioso. Come se il tempo non fosse trascorso, a parte l’aggiornamento di contesto e tematiche. Nell’edizione italiana si può apprezzare un adattamento dei dialoghi tutt’altro che dannoso (i giochi di parole sono resi decentemente, per fortuna!) e un doppiaggio che non fa storcere la bocca come previsto. Pedicini, grande doppiatore di Carrey, interpreta Lloyd con minor candore rispetto a Pino Quartullo però dà il massimo per non farlo rimpiangere e sa farsi valere. Due ore di genuino disimpegno.