Sex Tape – Finiti in rete – Recensione
Finire nella rete, per sbaglio. Suona così la nuova minaccia dell’era digitale, un pericolo che diventa realtà per una coppia sposata ormai da una decina d’anni e alla ricerca del desiderio smarrito che decide di girare un porno “casareccio”.
I due protagonisti della storia sono Jay (Jason Segel) e Annie (Cameron Diaz), coppia con due figli che desidera ritrovare la passione perduta in anni di routine matrimoniale. Una notte, finalmente soli dopo tanto tempo nella loro casa, decidono di registrare un video hot in cui sperimentano, in una lunga maratona, tutte le posizioni del manuale The Joy of Sex. Detto fatto, i due girano il filmino con il loro iPad con l’intenzione di guardarlo una sola volta e poi cancellarlo. Ma accade che Jay non lo elimina perché non ha chiaro il funzionamento del Cloud. E così, alcune persone che non dovrebbero vedere il filmino, ora lo hanno a disposizione su diversi iPad connessi tra loro e che Jay ha regalato ad amici e conoscenti. E così per Annie e Jay inizia una notte di scatenate avventure per cercare di recuperare tutti gli iPad collegati che contengono il video.
Risate a parte, alla base del film c’è sicuramente un’operazione di marketing ben mirata da parte dei produttori, che hanno deciso di riunire il team del film Bad Teacher – Una cattiva maestra, i divi Cameron Diaz e Jason Segel diretti da Jake Kasdan.
Certo, il motore della pellicola è senza dubbio di grande appeal per il pubblico di oggi che non potrà non sentirsi in molti casi complice del rapporto complicato con le tecnologie di cui è vittima inconsapevole il protagonista Jay. L’uomo infatti lavora in una radio e ogni volta che arriva una nuova generazione di iPad, lui mette da parte i vecchi con le loro fantastiche playlists e li regala agli amici. Ma quegli iPad sono connessi l’uno all’altro in un Cloud. I guai iniziano proprio se non si conosce a fondo un Cloud.
E così la tecnologia mostra il suo potenziale lato farsesco quando si mescola col sesso, tanto da mettere a rischio alcuni incrollabili capisaldi della società americana come la perfetta famiglia media e gli apparentemente saldi principi di moralità.
L’incipit è promettente: la bella Annie che affida le sue memorie sentimental-sessuali a un blog personale dove registra i suoi pensieri di moglie e madre, ponendo a se stessa e alle sue lettrici domande cruciali del tipo: “Vi ricordate la prima volta che vostro marito vi ha visto nuda?”, “Ma soprattutto riuscite a riportare alla mente l’ultima volta?”.
Ma le iniziali promesse di tanta scorrettezza si annacquano man mano che procede il film deviando verso una rocambolesca nottata trascorsa “alla ricerca dell’iPad perduto” che diventa corsa al cardiopalma per recuperare il famigerato video. Di riuscito c’è sicuramente la sequenza nella mega villa del probabile futuro capo di Annie, un potente della Silicon Valley cui la donna ha affidato un tablet per esaminare il suo blog (un Rob Lowe capo di una multinazionale di giocattoli, in apparenza rigoroso e tradizionalista ma con il vizietto nascosto della cocaina) con il povero Jay impegnato in una ricerca dell’iPad incriminato inseguito dal canone cattivo di turno su e giù per infinite stanze e corridoi. Felici trovate di scrittura sono poi le facili ma azzeccate frecciatine sull’ineffabilità dei riti social e della condivisione (il Cloud, questo sconosciuto, “nessuno sa cos’è il Cloud, è un ca… di mistero!” esclama un Segel sull’orlo di una crisi di nervi).
La commedia tutto sommato regala qualche risata in nome di un mondo ormai eternamente connesso dove, attraverso la levità di una “nuvola”, è possibile “condividere” tutto ciò che si vuole con un solo clic (e lì sono arrivati di recente i guai per molte celebrities). Ad animare il quadro, una coppia di interpreti scoppiettante sui cui svetta la sensualità unita a una grande carica di ironia di una Cameron Diaz in stato di grazia; mettono pepe sul piatto, le partecipazioni speciali del già citato Rob Lowe e di un gustoso Jack Black nei panni del capo del sito Youporn dall’inaspettato animo sensibile.
Allora, accomodatevi pure e godetevi un’ora e mezza di leggerezza “condivisa” (ma un po’ sprecata da uno scontato finale da famigliola felice). Anche (e soprattutto) se non sapete cosa diavolo è un Cloud.
Elena Bartoni