Shame – Recensione: magistrale Michael Fassbender
Libertà e prigionia. Un uomo libero e un corpo che diviene prigione. Un labirinto di ossessioni e sesso sfrenato. Un’insaziabile dipendenza e il precipizio di un vortice senza fine.
Film scandalo presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Shame colpisce soprattutto per la magistrale interpretazione del protagonista, il lanciatissimo Michael Fassbender premiato con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Il film è la storia di Brandon (Fassbender) trentenne di successo che vive in un bell’appartamento di New York. Per evadere dalla monotonia della sua vita lavorativa, si dedica al sesso compulsivo e occasionale, dividendosi tra incontri di una sola notte e storie senza futuro. La sua routine viene spezzata dall’arrivo della sorella più giovane Sissy (una Carey Mulligan all’altezza di un ruolo difficilissimo) cantante ribelle e problematica che mette in crisi il suo stile di vita regolato da un ritmo metodico e ordinato. La presenza dirompente della ragazza nella sua vita e nella sua casa spinge Brandon a inoltrarsi nelle pieghe più oscure dei bassifondi di New York per sfuggire al difficile rapporto con la sorella.
Shame è la seconda opera di Steve McQueen dopo l’intenso Hunger, biopic di Bobby Sands (interpretato ancora da Fassbender) militante irlandese dell’IRA che, per protestare contro il trattamento brutale cui era sottoposto in carcere, iniziò uno sciopero della fame che lo condusse a una morte agonizzante.
Aiutato dallo straordinario sguardo del suo attore protagonista, capace di alternare tagliente durezza e disarmante disperazione (si veda l’alternarsi delle espressioni sul suo viso nella scena della sofferta esibizione canora della sorella), il talento di video-artista di McQueen si snoda in lunghi piani sequenza che a tratti possono richiamare una fase cruciale del cinema di Michelangelo Antonioni. La “malattia dei sentimenti”, la solitudine, l’incomunicabilità, l’alienazione, il “deserto rosso” (del sangue, dell’uomo, dell’anima) raccontati nella celebre “tetralogia” dal regista ferrarese, sembrano tornare qui aggiornati ai nuovi dolori dell’anima del terzo millennio. Ancora solitudine, incomunicabilità, alienazione, deserto grigio (come il colore dominante in tutto il film e nella scena finale di cupa disperazione, in cui il protagonista si inginocchia a terra sotto una pioggia battente), il deserto dei sentimenti.
Una solitudine estrema e una condizione di sofferenza dei rapporti interpersonali nella società contemporanea sembra “urlare” la sua disperazione fin dalle prime inquadrature silenziose del protagonista che si aggira nudo per gli spazi perfetti ma asettici del suo elegante appartamento newyorchese. Spazi che racchiudono ossessioni, dipendenze, comportamenti compulsivi sempre più diffusi nella nostra società: cibo, droghe, alcool, sesso appunto.
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Corpi usati e poi gettati via. Il corpo consumato del protagonista, la natura profonda e sofferta del suo bisogno fa da pendant alla stessa richiesta di amore della sorella, immatura e fragile cantante che si aggrappa disperatamente a storie d’amore finite male o alla ricerca dell’affetto del suo unico fratello incapace di amare che la condurrà nell’abisso dell’autodistruzione.
Shame ossia vergogna, la parola più ricorrente nelle interviste realmente realizzate ai ‘sex-addict’, Shame ovvero elegante cinema-verità di tante vergogne sussurrate o addirittura nascoste nelle pieghe delle tante apparenti vite perfette di oggi. Un cinema duro, potente e disarmante condito da un’eccellente partitura musicale.
Elena Bartoni