Sils Maria – Recensione
Come cinefili, trovarsi davanti pellicole meta cinematografiche (o meta teatrali) è sempre di grande interesse. Se poi il rapporto è tra test-attore-tempo che scorre, l’attenzione per noi amanti di questa arte aumenta esponenzialmente.
Ce ne aveva già parlato Altman nel lontano 1992 con il suo I protagonisti, ancora prima l’ultimo soffio del free cinema ci raccontava di un rapporto amoroso che superava il copione con Reisz e il suo La donna del tenente francese, ne aveva fatto il fulcro del suo intero racconto Polanski, più recentemente, con Venere in pelliccia. Ci prova ora anche Olivier Assayas, maestro nel trattare ruoli femminili delicati (vedi il bellissimo Clean), con Sils Maria che vede Maria Enders, una splendida Juliette Binoche, attrice all’apice della sua carriera trovarsi ad interpretare nuovamente una piéce che l’aveva resa celebre vent’anni prima. Questa volta, però, è costretta a vestire i panni dell’antagonista, Helena, spinta al suicidio dalla sua giovane amante, Sigrid, che verrà interpreta da un volto nuovo di Hollywoood, Jo-Ann Ellis (Chloe Moretz). Maria si troverà così ad affrontare un personaggio che la turba, che scava in lei stessa e l’avvicina pericolosamente alla sua assistente Valentine, un’ispirata Kristen Stewart.
Arte come unica fonte per scoprire se stessi, l’arte come specchio della vita stessa, la sola che può far emergere la vera essenza tra le persone. Questo il messaggio, sottile quanto elegante, che Assayas sembra volerci dare con questo piccolo gioiello chiamato Sils Maria. Sì perché se inizialmente quello che si presenta davanti ai nostri occhi è una normale routine tra star e assistente, è solo nel momento in cui Valentine aiuta Maria a preparare lo spettacolo leggendo assieme a lei le battute, che il film inizia a scuotersi, portando a galla una serie di non detto che portano il climax della pellicola ad innalzarsi sempre più.
Proprio per questo motivo, il film è costruito su una tensione costante, narrativa quanto sessuale, che azzanna lo spettatore e non lo lascia fino al’ultima scena finale, dove, finalmente, ci si può rilassare.
E’ un percorso formativo a tre binari quello che ci presenta Assayas, un trittico formato da Valentine-Maria-Jo-Ann, che porta alla riscoperta di se stessi, tre vertici che assorbono dall’altro energie, pensieri e sensazioni, che si contaminano senza volerlo. E se Jo-Ann è il motore involontario che spinge Maria, altrettanto inconsapevole, a voler dare il meglio nella piéce e a confrontarsi con un’ epoca, quella del social Hollywood, a lei completamente lontana, ecco che il personaggio della Stewart è l’unico che comprende quello che sta accadendo, l’unica ad avere probabilmente in pugno questo gioco, pericoloso, delle parti.
Realtà e finzione si mescolano sempre di più fino a perdere completamente i loro confini, in un processo che però, se dobbiamo trovare un piccolo difetto a questo pellicola, finisce per girare un po’ troppo su se stesso, aggiungendo lì dove si poteva tagliare prima.
Certo, piccolezze per la fattura complessiva di Sils Maria che respira vita e piccole cose, che non si nasconde dietro falsi miti e mette sul piatto i difetti della vita ad Hollywood, di cui ne è simbolo il personaggio della Moretz. Il ruolo dell’attore viene analizzato con attenzione, si paragonano i blockbuster fracassoni con il cinema d’autore, mettendo Valentine e Maria a confrontarsi anche su cosa sia il vero cinema (arte) e cosa solo semplice intrattenimento.
Fili diversi di tematiche e sensazioni che si rincorrono di continuo, analisi che potrebbero andare ben oltre a queste poche righe di recensione, in un’atmosfera e tensione sospesa come le nuvole di Sils Maria che aleggiano come un serpente nelle valle attendendo di rivoltare vite, portandole ad una nuova consapevolezza.
Sara Prian