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Smetto quando voglio – Recensione

Da ricercatori universitari a ricercati criminali. Nell’epoca in cui ci troviamo a vivere, il passo tra i due improbabili estremi è breve. E questa volta tutto da ridere.
Smetto quando voglio è una bellissima scoperta, un’esilarante e intelligente commedia diretta da un sorprendente giovane regista al suo esordio in un lungometraggio, il salernitano Sydney Sibilia, abile filmaker capace di mescolare fiction statunitensi di successo come Breaking Bad con la migliore tradizione della commedia all’italiana da I soliti ignoti, a La banda degli onesti.
La storia prende le mosse da un ricercatore universitario trentasettenne, Pietro, un genio della Neurobiologia. Ma non è sufficiente. Con i tagli all’università, non solo non ottiene l’agognato contratto a tempo indeterminato, ma viene licenziato. Cosa può fare ora per sopravvivere un ragazzo che ha sempre e solo studiato? L’idea è drammaticamente semplice: mettere insieme una banda criminale che non si era mi vista prima. E così Pietro recluta le migliori menti tra i suoi ex colleghi che vivono ai margini della società: chi fa il benzinaio, chi il lavapiatti, chi il giocatore di poker. Ne viene fuori una banda di geniali nerd che usano la Neurobiologia, la Chimica, la Macroeconomia, l’Antropologia, il Latino, per infilarsi in uno strano buco legislativo italiano, quello delle smart drugs. La nuova droga sintetica che creano ottiene un successo immediato e per i sette squattrinati arrivano i soldi, il potere, il successo. Ma il problema sarà gestirli.
Sette nerd d’oro, sette criminali pasticcioni e coltissimi alle prese con una inaspettata pioggia di bigliettoni. Il resto sono risate. Non c’è che dire, il giovane Sydney Sibilla ha colto nel segno al suo primo lungometraggio. Niente male davvero per un giovane classe 1981. Una mente capace come una spugna di assorbire suggestioni provenienti dal meglio delle serie tv americane (oltre a Breaking Bad, un’altra dichiarata fonte d’ispirazione è The Big Bang Theory) e di mescolarla con la realtà, quella della commedia all’italiana. Il punto di partenza è stato un articolo di giornale in cui si parlava di due netturbini  laureati con 110 e lode e con tanto di master che discutevano di filosofia mentre pulivano le strade. Un’immagine che continuava a puntellare la mente del giovane filmaker, solo una suggestione che era però una sintesi di quello che sta accadendo oggi in Italia tra tagli alla ricerca e sulle conseguenze che hanno per (ex) ragazzi che hanno studiato per una vita e che si ritrovano alla soglia dei quaranta (ma anche oltre) senza lavoro né prospettive.
La (triste) realtà è stata contaminata poi con le suggestioni delle serie tv. Scusandosi per il paragone alto, il regista ha dichiarato di aver fatto con i prodotti americani quello che Tarantino fa con i suoi B movies italiani preferiti, usando e citando quello che più gli piaceva (a definirlo un film “ultracitazionista” è lui stesso).
Con una gran dose di furbizia e preparazione, Sibilia è rimasto colpito dal fatto che in Italia una droga, per essere definita tale deve essere inserita nell’elenco delle molecole illegali del Ministero della Salute. Se una molecola non è in quella tabella allora non è considerata illegale. Solo nel 2012 sono state scoperte più di 240 nuove sostanze, le forze dell’ordine devono aggiornare in continuazione l’elenco, ma a fatica stanno dietro a quello che viene continuamente creato.
Politicamente scorretto, ricco di originale inventiva comica, energico e fulminante come i suoi dialoghi, il film accende la sua miccia fin dalle prime scene e arriva alla deflagrazione finale senza un attimo di stanchezza (la rapina in farmacia con le baionette della campagna napoleonica è una delle scene più divertenti degli ultimi anni). Il ritmo resta alto, gli attori (in testa a tutti il protagonista Edoardo Leo, seguito a ruota da uno scatenato Stefano Fresi nei panni di un lavapiatti corpulento, genio della chimica computazionale) hanno la bravura di reggere il ritmo di situazioni esilaranti, le scelte di regia azzardano qualcosa in più rispetto alla media delle commediole italiane (tra macchina a mano, ralenti, fotografia dai toni cromatici accesi).           
Oltre al regista e ai suoi abili sceneggiatori (Valerio Attanasio e Andrea Garello), i meriti vanno alla ritrovata voglia di investire sul nuovo del produttore Domenico Procacci che è tornato a scommettere su un talento fresco, coadiuvato in questa avventura dal coraggio del coproduttore Matteo Rovere.
La critica sociale, la frecciatina politicamente scorretta c’è solo di striscio (con quel vecchio “barone” universitario così colluso con la politica), perché l’intento è solo intrattenere e divertire, e Smetto quando voglio lo fa benissimo. Ci auguriamo solo che il giovane Sibilia non prenda alla lettera il titolo della sua pellicola e, per ora, non smetta di fare film.

Elena Bartoni
 

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