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Smiley – Recensione

Halloween tempo di horror. Non poteva mancare nelle nostre sale, infatti, uno slasher movie, “Smiley”  sullo stile della saga di “Scream”, ma dal quale si distanzia anni luce (in negativo) per qualità, intensità e scopo finale.

Ashley (Caitlin Gerard) è una giovane ragazza del college che soffre di disturbi psichiatrici. Quando verrà a conoscenza della leggenda metropolitana secondo la quale un killer di nome Smiley può essere contattato attraverso una chat anonima ed uccidere coloro i quali stiamo parlando, dovrà capire se la storia è realtà o se la sua mente le sta giocando un brutto scherzo.

Continuamente giocato sul reale e irreale, “sta accadendo sul serio” o “è solo nella mente della protagonista”, “Smiley” diretto dal regista televisivo Michael J. Gallagher si compone di scene poco originali, dialoghi banali e una sceneggiatura che fa il madornale errore di prendersi troppo sul serio.

Si sente fin da subito l’ambizione di Gallagher, la sua voglia di rendere omaggio a vari film e registi uno su tutti Wes Craven, ma che finisce inevitabilmente a diventare una copia carbone di quello che fu il cinema horror degli anni 90 e che è rimasto nel cuore di moltissimi ventenni di adesso a cui lo stesso “Smiley” è rivolto.

Lo stile registico non fa presa, ci si trova davanti a sequenze che una dopo l’altra capiamo benissimo a cosa portano e che, tranne qualche leggero sussulto non fa nessuna paura.

Il colpo di scena finale, non salva la pellicola, anzi! Per tutta la proiezione si ha già la sensazione che questo tipo di rivelazione accada e quando appare rende, in realtà, ancora più confusa e mal scritta una sceneggiatura a groviera. Difficile, infatti, trovare un qualche appiglio per salvare il film, nemmeno nella caratterizzazione dei personaggi. Un cast assolutamente inutile dove la Gerard cerca di metterci del suo, finendo per risultare comica. Se tutti recitano approssimativamente, la sua troppa enfasi rende poco credibile il tutto.

Nemmeno il villain, questo Smiley, riesce a regalare emozioni o momenti epici, neppure quando il regista decide di trasformarlo in una sorta di Freddy Kruger, con l’elemento “sogno” che entra nella pellicola e tenta di far fuori Ashley.

“Smiley” è un film di genere con pochissima qualità, dove si fatica ad entrare in empatia con la protagonista, dove non si può far altro che sbadigliare sperando che l’incubo cinematografico si concluda presto.

Sara Prian

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