Solo gli amanti sopravvivono – Recensione
Una nuova era di vampiri, più consapevoli, introspettivi e bohemien, figli dei poeti maledetti e delle opere di Shakespeare, tanto quanto della musica rock. Questi sono i protagonisti dell’ultima magistrale fatica di Jim Jarmush che con ‘Solo gli amanti sopravvivono’ riporta in auge un genere troppe volte bistrattato da storie d’amore adolescenziali volte solo al mero e misero intrattenimento.
Adam (Tom Hiddleston) è un musicista vampiro che vive nascosto in una periferia di una città americana. Si sente solo fino al ricongiungimento di quella che è sua moglie da secoli Eve (Tilda Swinton) che cerca di tirarlo su di morale, dopo che si sente stanco per la piega che l’umanità ha preso. A scombinare la loro vita, poi, ci penserà l’arrivo dell’imprevedibile sorella di lei, Eva (Mia Wasikowska).
All’origine c’erano Adamo ed Eva, e così qui ci sono Adam ed Eve, il prototipo dell’essere umano di un tempo, quello puro, quello che si esprimeva attraverso la bellezza delle cose, che non si lasciava colpire dallo scatafascio del mondo, ma che cercava di aggrapparsi all’amore e all’arte per proseguire, ma che ora è costretto a confrontarsi con la decadenza umana, sentendosi ai bordi di una società dipendente dalla bruttezza.
Jarmush con la sua pellicola ci regala un gioiello che allo stesso tempo ci dona sia una profonda angoscia che una bellezza disarmante data da una regia artistica, immensa, che non dimentica di offrirci anche dei momenti più leggeri, al limite del divertente.
Sì perché Solo gli amanti sopravvivono, è una pellicola fortemente evocativa, che si insinua nella nostra mente, attraverso due splendide e quanto mai introspettive interpretazioni di Tilda Swinton e Tom Hiddleston, ma anche dell’irruente e giocosa Mia Wasikowska. Il regista costruisce attorno a loro una sceneggiatura colta, cosa rara di questi tempi, di una grandissima valenza culturale grazie alle moltissime citazioni raffinate dal mondo dell’arte e della letteratura che permettono allo spettatore di respirare qualcosa di sorprendentemente aulico ed inaspettato.
La pellicola di Jarmush è un dono, un omaggio a quel cinema di atmosfera che ti avvolge e ti fa fluttuare, portandoti in un’altra dimensione per le due ore e passa di visione.
Con sfumature cristologiche, in bilico con il biblico, in Solo gli amanti sopravvivono, la sceneggiatura curata nei mini dettagli con una fortissima valenza metaforica, è coadiuvata da un’impostazione registica a tratti disarmante e disorientante, ma anche affascinante nel suo sapere, attraverso la posizione della macchina da presa, indagare, tornare alle origini, quasi filosofiche della figura del vampiro con tutto quello che comporta dover vivere per sempre.
Quello che, infatti, emerge più di tutti è il senso di solitudine, di profondo disagio, che questi esseri eterni sono costretti a vivere. Essi trovano conforto nella loro dipendenza dall’arte, dalla purezza e dalla bellezza intrinseca nella musica, nella letteratura, nella poesia. Insomma di tutto ciò che di bello l’uomo ha creato, in una forte contrapposizione critica con il brutto di questa terra.
Ed è così che i vampiri di Jarmush si trasformano nella trasposizione di quegli esseri umani, pochi, che ancora si aggrappano all’arte, che vivono e respirando la creazione come forma di vita, la stessa che il regista vuole trasmetterci. Ma sono anche lì per dirci che chi si esprime attraverso qualsiasi forma d’arte, diventa eterno, vivrà per sempre, oltre il tempo, oltre il cambiamento dei secoli.
Una grande regia, un elogio all’eternità dei capolavori, una grande colonna sonora e un’altrettanto meravigliosa fotografia, fanno di questa pellicola, più che un film, un’opera d’arte che tocca le corde più complesse e nascoste del nostro animo.
Sara Prian