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Song of Silence – Recensione

Film del 2011, Song of Silence del regista cinese Chen Zhuo, arriva questa settimana sugli schermi italiani grazie a Distribuzione Indipendente; una storia di vita vera, tra problemi sociali, familiari e sentimentali, con un fil rouge: la solitudine ed il senso di impotenza, per un film drammatico che silenziosamente entra nel cuore dello spettatore.

Jing (Yaning Ying) è un’adolescente sordomuta, affidata alla madre dopo il divorzio dei genitori. La ragazza non vuole vivere con la madre ed abita in un villaggio di pescatori con il nonno e lo zio materno. Trascura gli studi e cerca costantemente rifugio nella barca del giovane zio, il rapporto tra i due, entrambi giovani finisce però per oltrepassare i limiti della moralità e Jing è costretta ad andare a vivere in città con il padre Zhang Haoyang (Qiang Li). Funzionario del locale ufficio di polizia, Zhang non ama molto la figlia e quando la sua amante Mei (Bingbin Wu), giovane musicista ribelle rimane incinta, Zhang la porta a vivere con sé e con la figlia. Il rapporto tra le due donne, così diverse, non è però così facile.

Il silenzio ha un suono, ebbene sì e lo si impara a conoscere, proprio grazie alla pellicola dell’esordiente Chen Zhuo. In esso sono racchiuse una miriade di sensazioni, sentimenti, emozioni, che dalle sponde del fiume fino ai palazzi della città, si propaga, a dimostrare come qualsiasi luogo sia immerso in equilibrio, fra il placido rumore dell’acqua e quello fastidioso di un treno che corre sui binari.

Rumore e silenzio, possono facilmente essere identificati proprio come le due rotaie parallele che reggono il film. Song of Silence infatti, scorre silenzioso e lento, quasi sospeso nel tempo, tra canzoni che esprimono la malinconia provata dai protagonisti e il silenzio impotente di una ragazzina, Jing, costretta a subire, ribellandosi solamente attraverso alcuni gesti, disegni, atteggiamenti, che spesso però la mettono in pericolo.

Un’esistenza la sua, come quella degli altri protagonisti e dell’intero quadro familiare, vissuta ai margini, legati da relazioni fittizie e/o coercitive: tutti, alla fine, finiscono per sentirsi soli ed svigoriti. Ed è proprio grazie a questa serie di sensazioni che lo spettatore entra in empatia, in particolar modo poi, è merito anche della scelta del regista di eliminare il suono in alcune scene con protagonista Jing e, in contrasto, accentuarlo in altre in cui Mei, la musicista ribelle, al centro dell’attenzione.

La pellicola, inizialmente costruita utilizzando un montaggio alternato, mostra proprio come le due ragazze vivano due vite differenti e sebbene siano quasi coetanee, abbiano un diverso livello di maturità. A separarle non è solamente la percezione del suono, bensì quella dell’esistenza, ma ad unirle sarà la figura maschile di Zhang Haoyang, padre e compagno.

Presentato al 14esimo Far East Film Festival, la pellicola di Chen Zhuo è tosta, intensa e, sebbene poco ritmata, grazie alla delicatezza impressa dal regista nel raccontare questa storia, nella sua sottile poeticità e grazie all’uso della musica, riesce a far emozionare a far breccia nel cuore dello spettatore, così come aveva fatto ad Udine.

Alice Bianco

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