Sorrow and Joy – Recensione
Siamo nell’inverno del 1984. Malata di mente, la bionda insegnante Signe uccide con un coltello la figlioletta di 9 mesi. Suo marito Johannes, regista cinematografico, pur sconvolto cerca di salvare il loro rapporto e farle ottenere un semplice ricovero coatto invece di lasciarla rinchiudere per anni. Si ritiene in parte colpevole, essendo stato consapevole delle gravi fragilità da cui era afflitta la moglie. La maggior parte della pellicola è quindi attraversata da un lungo flashback, in cui ripercorriamo le varie fasi della relazione tra i due: il loro primo incontro, la gelosia di lei verso una giovanissima attrice da cui Johannes era visibilmente attratto, la conoscenza del difficile passato di Signe e le sue richieste di aiuto. Il titolo, “dolore e gioia”, esprime con chiarezza la natura ambivalente del film. Opera profondamente scandinava, è un’operazione ardita e rischiosa nell’affrontare temi scottanti legati agli impulsi subconsci (infanticidio, sublimazione dell’incesto) filtrando il tragico attraverso la commedia romantica. Da un lato tale approccio rappresenta un’arma vincente, in quanto consente un punto di vista risoluto e obiettivo, lontano da qualsiasi ipocrisia e facile commozione, nonché coerente con il principio si fondo secondo cui l’errore da parte di un essere umano non può automaticamente corrispondere alla condanna senza appello. D’altra parte ciò comporta scompensi ed indecisioni, probabilmente preventivate. A fianco dell’ironia si rischia a tratti il comico involontario, alcune soluzioni di regia possono lasciare perplessi (i salti temporali nel finale dovrebbero chiudere un cerchio, ma sanno di posticcio) e non sempre la leggerezza affianca la durezza senza stridere. Pur parzialmente riuscito, rimane un film appassionato ed impossibile da ignorare, ottimamente interpretato. Nota di merito a Helle Fragalid, che con la sua recitazione sofferta e struggente ed i tratti somatici fa pensare a colleghe d’oltreoceano come Naomi Watts e Nicole Kidman. Per spettatori dalla mente aperta, disposti se necessario all’indignazione.