Sta per piovere – Recensione
Nel suo ultimo discorso di fine anno, il Presidente Napolitano aveva ribadito un forte convincimento: gli immigrati di seconda generazione devono essere considerati a tutti gli effetti italiani. D’altronde le cifre non si possono ignorare: il 14% dei nuovi nati in Italia sono figli di immigrati. Sono bambini che crescono nel nostro paese, imparano la nostra lingua, frequentano scuole italiane e nella terra d’origine dei loro genitori non hanno mai messo piede.
A trattare questo tema arriva Sta per piovere, coraggioso film a budget minimo (è costato meno di 500 mila euro), girato in sei settimane, con una troupe giovanissima e ridotta all’essenziale, da Haider Rashid, ventiseienne nato in Toscana, figlio di un giornalista iracheno e di un’italiana.
Il protagonista del film è Said (Lorenzo Baglioni), un giovane nato e cresciuto in Italia da genitori algerini che studia e lavora come panettiere part-time. Dopo il suicidio del direttore della fabbrica per cui lavora suo padre Hamid (Mohamed Hanifi), la sua famiglia non può rinnovare il permesso di soggiorno come fa da trent’anni e riceve un decreto d’espulsione. La vita di Said improvvisamente cambia. L’Italia che ha sempre considerato come il suo Paese, gli appare come una terra che lo respinge a “tornare a casa” in Algeria, un posto che non ha mai visitato. Il ragazzo però è un combattente e si adopera i tutti i modi per trovare una soluzione. Inizia così il suo peregrinare tra avvocati, sindacati e stampa facendo di tutto per portare l’attenzione sul suo caso. Said si addentra in un percorso attraverso una burocrazia legislativa lenta e vecchia ma soprattutto è costretto a riflettere sulla sua identità.
Espulso. E’ la parola che pesa come un macigno sul giovane protagonista per tutta la durata di questo film dalla forte impronta realistica: dalla recitazione, ai movimenti di macchina, alla fotografia. Un sapore di verità accentuato dalla scelta precisa di un attore italiano e dall’accento marcatamente toscano, un ragazzo che sarebbe facile identificare come totalmente italiano se non fosse per il suo nome. Said porta con sé qualcosa dell’eroe comune del neorealismo, colto da una macchina da presa che lo pedina in una Firenze estiva, fotografata per una volta senza i suoi consueti scorci turistici.
Al di là di molti punti deboli dovuti al budget limitato e di qualche concessione retorica di troppo (come la scena finale in cui Said fischietta “Fratelli d’Italia” in bicicletta), Sta per piovere si inserisce in una casella lasciata finora vuota dal cinema italiano affrontando la delicata questione dell’identità nelle seconde generazioni. Una moltitudine di giovani che sentono di vivere ancora in un limbo, sia legalmente che culturalmente. Non sono infatti ancora sentiti come cittadini a tutti gli effetti del nostro Paese nonostante ne siano parte integrante. Ma è cosa nota, il multiculturalismo da noi arranca di brutto mentre invece altrove è una forza prepotente, motore dell’evoluzione e dello sviluppo. E se da un lato cresce la consapevolezza di queste potenzialità, le seconde generazioni sono ancora in gran parte escluse da una piena integrazione. Non è un caso che la parola “immigrato” porti con sé ancora presso gran parte della popolazione un’accezione negativa. Ma forse davvero dovremmo tutti riflettere davvero sul termine “straniero” e soprattutto rivedere a fondo, alla luce dei grandi cambiamenti sociali avvenuti nel nostro Paese, il significato della parola “identità”. Come ha osservato il regista, c’è un paradosso forte vissuto nel popolo italiano, che ha una grande storia passata e presente di emigrazione. Insomma, mentre riusciamo ad accettare che i nostri emigrino, è spesso ancora difficile accettare gli altri che immigrano da noi.
Ed è significativo che il primo film italiano ad affrontare questo argomento sia diretto proprio da un regista di seconda generazione. Già, perché in queste persone può nascondersi il seme del rinnovamento culturale e sociale a cui l’Italia guarda da tempo. Un esempio piccolo di cinema-verità con un grande messaggio. Da non sottovalutare.
Elena Bartoni