Stalingrad 3D – Recensione
Nel Novembre del 1942, durante il tragico assedio a Stalingraad, i sovietici progettano un attacco contro le truppe naziste che occupano metà della città. Il fallimento dell’operazione costringe alcuni di loro a rifugiarsi in un’abitazione sulle rive del Volga. Attraverso i ricordi di uno di loro assistiamo alle imprese di questi eroi, in un epico affresco all’insegna del coraggio e della morte. Fedor Bundarchuk, dotato figlio d’arte (suo padre Sergei diresse il celebre “Guerra e Pace”), ha l’onore e l’onere di firmare il primo kolossal in 3D nella storia del cinema post-sovietico. A parte qualche spiraglio di tentata obiettività, vedi l’ufficiale tedesco dal volto umano e relative peripezie belliche ed amorose, il contenuto è smaccatamente agiografico/propagandistico. Interminabile, agile quanto un orso sul piano dello sviluppo narrativo, il film sconta con gli interessi la scelta di concentrarsi sulle vicende individuali rispetto alla dimensione collettiva. Raramente possiamo definirlo ridicolo, ingessato com’è in una retorica premeditata e vecchio stile che non devia quasi mai da un percorso prestabilito. Persino i combattimenti, tanto enfatici da sfiorare il fantasy-action e il cinema di supereroi, obbediscono alla rigidità del contesto. Non mancano però innegabili attrattive sul versante figurativo, per merito di una fotografia dalle suggestioni impressionistiche talvolta stupende. L’impegno produttivo si fa inoltre sentire sia in un reparto tecnico di prim’ordine sia in un effetto stereoscopico molto curato, in cui la terza dimensione implementa a dovere la prospettiva delle scenografie. In Russia, come del resto nella Cina continentale, la settima arte inizia dunque a mostrare i muscoli e i soldi. Vedremo cosa sapranno produrre in futuro, in un ambito più libero e meno autoreferenziale.