Star Wars: Il risveglio della forza – Recensione
Si entra di nuovo nel mito. Si torna a quella “galassia lontana lontana” geniale invenzione di George Lucas di ben 38 anni fa. Era il 1977 quando il cineasta inventò un genere tutto nuovo e mai visto nel campo della sci-fi, quella “fantascienza fiabesca” in cui fantastiche astronavi, cavalieri coraggiosi, principesse, spade laser, forze oscure del male e grandi movimenti di ribellione si combattevano lassù, per i cieli delle galassie infinite. Erano le Guerre stellari, combattute tra bene e male, luce e oscurità, forze fisiche e spirituali.
Dopo sei film (divisi in due trilogie di straordinario successo che hanno generato un universo di ‘stellari’ incassi fatto di videogame, serie animate, fumetti, gadget), ecco arrivare il capitolo numero sette, Star Wars: Il risveglio della forza, preceduto da un apparato pubblicitario senza precedenti e da una serie di misure di sicurezza eccezionali (con assoluti divieti di spoiler per giornalisti e blogger) per mantenere il più possibile il massimo mistero su plot e personaggi.
Ed ecco l’operazione di rinascita di una saga che è diventata mito e il cui potenziale commerciale non accenna a diminuire complice anche l’acquisto, nel 2012, da parte della Disney, della Lucas Film per 4 miliardi di dollari. L’occasione di sfruttare un franchise così grande quindi non poteva non essere colta.
Ed ecco l’annuncio di una terza trilogia che si apre con questo film la cui regia è affidata a J.J. Abrams (già artefice della rinascita di Star Trek sul grande schermo) e la sceneggiatura di Michael Arndt e Lawrence Kasdan (autore dell’episodo di Star Wars – L’Impero colpisce ancora e del successo di Spielberg I predatori dell’Arca perduta).
Dare nuova luce al vecchio. Questo sembra il vero imperativo sotteso all’operazione Star Wars: Episodio 7 – Il risveglio della forza, film girato in un grandioso apparato 3D dal primo fan di Lucas, ovvero J.J. Abrams, regista capace di infondere ritmo e dinamismo ai suoi film.
Tra infiniti deserti sabbiosi su pianeti lontani, piccoli droidi che custodiscono informazioni preziose, l’incedere minaccioso delle truppe imperiali di bianco vestite, si entra subito nel nuovo episodio portandosi dietro tanto del vecchio.
Ma di vintage non si può parlare, anche se uno dei primi tanti sussulti (soprattutto per il pubblico over 40) avviene quando il mitico Millenium Falcon, ormai ridotto a vecchia ferraglia, si alza in volo schivando il fuoco nemico.
E via così, con vecchio e nuovo che continuano a incontrarsi, gli illustri volti della vecchia trilogia (Harrison Ford, Carrie Fischer, Mark Hamill, per non parlare di Chewbacca e dei droidi C3-PO e R2-D2) accanto a volti giovani, nuovi e poco noti come Daisy Ridley, John Boyega e attori in ascesa come Oscar Isaac (protagonista di A proposito di Davis dei fratelli Coen) e Adam Driver (interprete della serie Tv Girls e vincitore della Coppa Volpi a Venezia per il film Hungry Hearts). Altra new entry è il droide BB-8, un robottino che procede rotolando (una felice invenzione del regista Abrams che siamo certi farà innamorare il pubblico dei più piccoli).
Come recitano i famosi titoli che scorrono nell’universo in apertura, Luke Skywalker è scomparso. Al mitico eroe danno la caccia sia i nuovi cattivi (che hanno sostituito quelli dell’Impero) del Primo Ordine (il cui capo è il perfido Kylo Ren), sia i membri della Resistenza guidati dalla principessa Leia in nome del bene della Repubblica. La mappa per ritrovare Luke è consegnata nelle mani del miglior pilota della galassia Poe Dameron (Isaac).
Proprio dalla missione condotta da Poe prende il via la storia. Ma il villaggio del pianeta Okku viene assaltato dalle forze del Primo Ordine e così il pilota mette al sicuro le informazioni nel droide BB-8. Il robottino finisce nelle mani di Rey (Daisy Ridley), giovane ladruncola di parti meccaniche e sorprendente pilota di astronavi. In aiuto della coraggiosa ragazza, arriverà Finn (John Boyega), disertore delle Stormtrooper, che, di fronte all’ordine di trucidare gli abitanti del villaggio, si toglie la maschera e fugge insieme al pilota prigioniero Poe. Il resto è un susseguirsi di sorprese condite dalle apparizioni dei vecchi volti della saga. E oltre davvero non vi sveliamo.
Eccola qua l’operazione-nostalgia di volti e luoghi delle vere Guerre stellari, nostalgica anche nella realizzazione tecnica (a parte l’apparato 3D), con un uso limitato di effetti digitali in favore della plasticità di modellini e scenografie, set reali di grande appeal (uno dei quali è il deserto marocchino) e la scelta di girare in pellicola.
Sul fronte del nuovo, oltre al trio dei tre giovani buoni già ricordati, ci sono i nuovi cattivi, guidati dal sorprendente (e capirete perché) Kylo Ren, emulo (nel nero mantello e nella maschera terrificante) del celebre Darth Vader affiancato da altri due villain, il Captain Phasma e il Generale Hux.
Certo è che alla fine dei conti non si può dire che questo Il risveglio della forza sia un sequel, quanto piuttosto un reebot o nuovo remake del primo Star Wars, dove l’industria ha, ahimè, preso il posto del sentimento, delle emozioni, del pathos.
I valori come l’onore, l’amicizia, il coraggio, la forza interiore, di cui era intrisa la prima trilogia di Star Wars continuano a essere presenti, ma questa volta si sarebbe potuto dar loro maggior incisività.
Una cosa è sicura in questo settimo capitolo, il politically correct di marca disneyana si fa sentire forte, con i due nuovi protagonisti a dir poco emblematici: “la ragazza forte” e “l’eroe nero”. Si percepisce chiaramente che saranno loro a portare avanti la saga nei nuovi capitoli. Si, perché di nuova trilogia si tratta, oltretutto con una serie di uscite ben programmate tanto da rimpinzarci di Star Wars da qui al 2020.
Se questo Episodio VII – Il risveglio della Forza vuole ripercorrere la struttura narrativa e lo stile visivo del primo immortale Guerre stellari, poi divenuto Star Wars IV – Una nuova speranza, si può affermare che la ‘Forza’ si è risvegliata (e con lei il fascino di ambientazioni ed eroi) ma le emozioni non sono più le stesse.
D’altronde quello che si merita la definizione di “classico” è per sua natura destinato a rimanere unico.
Elena Bartoni