Still Life – Recensione
Uberto Pasolini porta sullo schermo Still Life pellicola che segna la sua consacrazione dopo il buon esordio con il piccolo Machan. Un’opera delicata, minuziosa che affronta sotto forma di commedia amara un tema complesso e delicato: quel fragile filo che unisce morte e solitudine.
John May (Eddie Marsan) è un impiegato che si occupa delle sepoltura delle persone sole, senza parenti o amici a cui rivolgersi. Nonostante il suo grande impegno e rispetto verso le salme che accompagna, non riesce mai ad avere nessuno alla cerimonia funebre trovandosi sempre solo, in compagnia del morto. Il suo lavoro non è così apprezzato e ben presto viene considerato in esubero, finché un giorno uno sconosciuto vicino di casa, Billy Stoke, muore senza amici nella più completa solitudine. John si prenderà a cuore questo caso, percorrendo in lungo e in largo il paese alla ricerca della famiglia di Billy e dei suoi amici per dare la possibilità, almeno al suo ultimo morto, di avere una cerimonia funebre come si deve.
“Still Life” ci racconta una storia da un tema difficile, che potrebbe sembrare pesante, ma che Pasolini lavora con mano leggera, lasciando che il grigio delle vite dei protagonisti e della loro solitudine, non intacchino lo scorrere della pellicola.
E così il film riesce a trasformarsi in una efficace riflessione sulla morte, ma soprattutto sulla solitudine, elemento che purtroppo, troppe persone sono costrette, volenti o nolenti, a vivere sulla propria pelle. Pasolini mettendo una mano sulla spalla ai più giovani e dando una pacca d’incoraggiamento ai più anziani, parla dell’importanza di condividere la propria vita, di potersi voltare e trovare qualcuno che cammina accanto a noi, nonostante tutto.
Il regista sa che questa tematica è insidiosa, i rischi di diventare pedante e didascalico sono dietro l’angolo, ma lui riesce ad alleggerire l’opera, inserendo umorismo (molto british e ben riuscito grazie all’interpretazione di un idiosincratico Eddie Marsan) e un’attenzione al dettaglio che non ti aspetteresti.
Tutto è calibrato in maniera intelligente e molto bilanciata, con una svolta inaspettata, ma assolutamente vincente con l’introduzione della figlia di Billy che aggiunge anche una vena romantica ad un dramedy che riesce, con cautela, a cambiare anche punti di vista e messa in scena, seguendo la trasformazione del protagonista.
Il ritmo di “Still Life” è soffice, pacato, ma perfetto per l’andamento dell’intero film, che ci regala un ritratto di un mondo freddo, triste, rispecchiato da una fotografia di Stefano Falivene, e musiche del premio Oscar Richard Portman altrettanto gelide e funzionali. Il finale, senza svelarvi niente, è una delle parti più commoventi dell’intera pellicola che tocca il cuore e che riesce a farsi strada nelle nostre emozioni, lentamente, ma lasciando un qualcosa di sospeso dentro di noi.
Sara Prian