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St@lker – Recensione

Storia di violenza sulle donne, di tecnologia e della natura dei rapporti umani, St@lker, il secondo lungometraggio di Luca Tornatore, è una pellicola attenta al mondo che ci circonda, alla cronaca (tratta da un fatto reale accaduto) e ad una società sempre più sull’orlo del baratro, che il regista esplora con attenzione.

Alan e Ines lavorano come ricercatori di clienti in grandi società multilevel. Alan (Ignazio Oliva) è separato ed è andato a vivere in un magazzino, portandosi solo due materassi, un televisore, una stufa e un sacco da boxe, contro cui sfoga la sua rabbia. L’ex moglie si rifiuta di vederlo e parlargli, divenendo così vittima dei suoi atti di stalking. Alan, rifiutandosi di lavorare, passa il suo tempo a chattare su siti di online-dating. Ines (Anna Foglietta) vive sola, senza appagamento sia nel lavoro sia nelle relazioni private, ama leggere ed ha dei piccoli hobby. Ha una sola amica intima, Mina (Anna Ferruzzo), collega di lavoro, che la introduce nel mondo, fino all’ora a lei sconosciuto, dei social network. Lì incontrerà Alan, ma non tutto andrà come sperato.

La fragilità, l’insicurezza, la voglia di essere accettati, il far di tutto per convincere gli altri e prima ancora, convincere se stessi, a questo puntano Alan e Ines. I protagonisti di questa seconda opera indipendente di Tornatore, sono di per sé diversi, ma i sentimenti di sconforto, malinconia ed insicurezza, che provano dopo essere stati rifiutati o non presi in considerazione, sono i medesimi.

La tecnologia è il loro capro espiatorio, l’appiglio e il mondo misterioso e sconosciuto dove possono essere o meno, se stessi; per loro diventa luogo di appagamento e dove riescono ad incanalare la rabbia, i desideri e le frustrazini: Ines la tiene dentro, Alan la libera prendendo a pugni il sacco di pelle o scatenandosi a colpi di arte, con disegni che rappresentano il suo dolore interiore.

L’unico elemento fisico, ma pressoché inesistente, quasi come fosse un’entità, è il Coach Salvi, a capo dell’azienda in cui lei lavora; egli rappresenta una sorta di ’’motivatore’’ e guida, che spinge Ines ad agire, ma che anch’esso nasconde qualcosa.

La regia di Tornatore è particolare, curata, attenta ai particolari con primi piani ed una macchina da presa che segue da vicino i protagonisti, riuscendo anche a descriverne il luogo in cui vivono, riuscendo a far trasparire la semplicità di fondo della pellicola.

Ottima è anche la scenografia e la fotografia, che rendono il film, insieme alla sua regia, quasi straniante, così come l’attenzione all’illuminazione e alla prevalenza di luci ed ombre, che immergono ancor di più lo spettatore in un’atmosfera inquietante, tipica del thriller.

A tratti surreale, per quanto riguarda alcune interpretazioni come quelle di Salvi o la recitazione portata ad esasperazione di Oliva, il film segna comunque un altro buon risultato per il cinema indipendente nostrano, attento alla regia e ai temi sociali trattati.

Alice Bianco

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