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Stoker – Recensione

“Persino i legami famigliari non contano quando il cibo è scarso”.

Stoker, ultima fatica del coreano Park Chan-Wook, racconta la storia di India (Mia Wasikowska) che dopo la morte del padre (Dermot Mulroney) si ritrova nella sua casa lo zio Charlie (Matthew Goode) di cui ignorava l’esistenza. Fin da subito la ragazza inizia a sospettare che questo uomo misterioso nasconda qualcosa, ma invece di sentirsene intimorita, ne rimane affascinata.

La pellicola avrebbe avuto tutte le potenzialità per divenire un piccolo cult, ma purtroppo questo non accade. La causa è da imputare alla sceneggiatura di Wentworth Miller, il Michael Scofield della serie Tv “Prison Break”, che fa acqua da tutte la parti, lasciando troppe domande e troppi personaggi appena delineati.

Se, infatti, la regia di Park Chan-Wook è da grande maestro e vale da sola il prezzo del biglietto, la storia gira a vuoto, facendo calare inesorabilmente il ritmo che in un thriller dovrebbe essere teso per buona parte del film.

La parola mistero è quella d’ordine per Stoker che, anche se sul finale offre delle risposte, lascia troppi intrecci creati dal caso. Ad esempio il personaggio della madre di India, Evie (Nicole Kidman) se all’inizio sembra avere una storyline rilevante, poi si perde fino a sparire,  per tornare poi in un finale enigmatico e che lascia irrisolti molti dubbi,  soprattutto sulla natura di India.

“A volte devi fare qualcosa di brutto per impedirti di fare qualcosa di peggio” è la linea di pensiero che il padre le ha inculcato, come se solo lui, un po’ come il padre della serie Tv Dexter, ha compreso la violenza latente che vive nella ragazza. La sua è una sorta di sessualità del male, una 18enne, che scopre il proprio corpo e il piacere attraverso la paura, e questo lo lo si può notare in due scene. Nella prima India si immagina di avere un rapporto sessuale con lo zio attraverso una suonata di pianoforte a 4 mani, nella seconda  dopo essere stata testimone della follia di Charlie,  si ritrova nella doccia in lacrime, tremante di paura, ma a provare un piacere corporeo che prima non conosceva.

Il montaggio sincopato arricchito da troppi insistiti parallelismi non giovano ad una sceneggiatura che, man mano che il film procede, dimostra tutta la sua debolezza, per un film che poteva essere grande e, invece, si riduce ad essere ricordato per le tinte fosche di un’ottima regia e per la grande interpretazione di Mia Wasikowska.

Sara Prian

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